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zzzz_Grand Budapest Hotel 4Film d’apertura dell’ultimo Festival di Berlino, dove ha vinto il Gran Premio della Giuria, arriva nelle sale italiane, il prossimo 10 aprile, “Grand Budapest Hotel”, il nuovo attesissimo lavoro di Wes Anderson, distribuito da Fox Searchlight Pictures. Siamo stati, per conto dei nostri lettori, alla prima di ben tre anteprime dedicate alla stampa, giovedì 20 marzo presso la sala privata dell’ANICA (dopo di che, faranno seguito – entrambe nella data di martedì 1° aprile – una nuova proiezione romana, sempre alla sala dell’ANICA, ed una proiezione al Cinema Apollo di Milano). Senza contare che “Grand Budapest Hotel” sarà presentato anche al BisFest di Bari il 6 aprile. Ma veniamo al film, molto atteso dalla critica italiana; vedremo, poi, quale sarà la reazione del pubblico della nostra penisola nei confronti di questo film, che ci è sembrato collocarsi abbastanza a metà strada tra l’essere di nicchia e l’essere popolare. Per meglio dire, potremmo optare per una definizione come di nicchia, ma che strappa qualche risata e molti sorrisi, soprattutto nella vivace prima ora (sulla durata totale di un’ora e quaranta minuti), per poi perdersi in qualche eccesso grottesco ed in una minor brillantezza. Ispirato dagli scritti di Stefan Zweig, scrittore e drammaturgo austriaco, naturalizzato inglese, vissuto tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, il film è stato liberamente sceneggiato dal regista, Wes Anderson, avvalendosi della collaborazione di Hugo Guinness esclusivamente per il soggetto del film, poi – in effetti – sceneggiato dal solo Anderson. Il film narra le avventure di Gustave H., leggendario concierge (ma, di fatto, una sorta di direttore) di un lussuoso e famoso albergo europeo, e di Zero Moustafa, neo-assunto portiere immigrato, che diventerà il suo più fidato amico ed il suo principale collaboratore. Monsieur Gustave gode della confidenza (talvolta anche di qualcosa di più) delle signore attempate. Una di queste, Madame D., gli affida un prezioso quadro. In seguito alla sua morte, il figlio Dimitri accusa Gustave di averla assassinata. L’uomo finisce in prigione. La stretta complicità che lo lega al suo giovanissimo Zero Moustafa gli sarà di grande aiuto. Una morte che sembra misteriosa, cui ne seguiranno altre ancora, il furto ed il recupero di un celebre dipinto di valore inestimabile, la violenta battaglia per impadronirsi di un’enorme fortuna di famiglia ed una storia d’amore. Il tutto, tra le due guerre, mentre l’Europa è in rapida e radicale trasformazione. Stellare il cast del film: Ralph Fiennes, F. Murray Abraham, Mathieu Amalric, Adrien Brody, Willem Dafoe, Tony Revolori, Jeff Goldblum, Harvey Keitel, Jude Law, Bill Murray, Edward Norton, Saoirse Ronan, Jason Schwartzman, Léa Seydoux, Tilda Swinton, Tom Wilkinson, Owen Wilson. Nel cast tecnico figurano i produttori Wes Anderson, Scott Rudin, Steven Rales e Jeremy Dawson; i produttori esecutivi Molly Cooper, Charlie Woebcken, Christoph Fisser e Henning Molfenter, il co-produttore Jane Frazer, il direttore della fotografia Robert Yeoman, A.S.C., il direttore della produzione Adam Stockhausen, il montatore Barney Pilling, il supervisore musicale Randall Poster, con le musiche originali di Alexandre Desplat, il produttore associato Octavia Peissel ed il co-produttore per Scott Rudin Productions, Eli Bush. Il regista afferma che il suo ottavo film nasce da un mix di ispirazioni, tra cui le commedie degli anni Trenta e le storie e memorie dello scrittore viennese Stefan Zweig. “Ho avuto un’idea insieme al mio amico Hugo (n.d.a.: Hugo Guinness, come già scritto), ricorda Anderson riguardo gli inizi della sceneggiatura; “lui ed io avevamo discusso di un personaggio ispiratoci da un nostro amico, persona dall’eccezionale ed enorme fascino, un rapporto unico ed uno sguardo molto speciale sulla vita, diverso da chiunque altro al mondo. Successivamente, pensai di fare una sorta di film europeo, ispirato in particolare da Stefan Zweig, scrittore che son giunto ad amare seriamente negli ultimi anni. Ci sono altre cose che stavo leggendo che potrebbero non sembrare connesse a questo film, come ‘Eichman in Jerusalem’ di Hannah Arendt, che ha molto poco a che fare con esso, ma contiene un’analisi avvincente di come ciascun paese europeo si è posto di fronte ai nazisti, e come tutto impazzì; ed anche ‘Suite Française’ di Irène Némirovsky. Sono queste alcune delle cose da cui sono partito e che ho mescolato all’idea che Hugo ed io avevamo avuto sul nostro amico. E questo, in un certo senso, è ciò che il film è. Anderson ha collocato la sua storia in una località termale di fantasia nell’immaginario Stato di Zubrowka, e nella sua capitale omonima, per il quale ha creato non solo un’estetica visiva completa, ma anche una coerente storia del Novecento che rispecchiasse una certa parte di Europa. “Ogni volta che Wes fa un film, c’è un intero mondo, un universo completo da creare insieme ad esso; – dice il produttore Jeremy Dawson, che ha già più volte lavorato con Anderson – qui ha creato una parte di Europa orientale  interamente di fantasia, conosciuta come Repubblica di Zubrowka, e in Zubrowka troviamo una di quelle grandi città termali fiorite dappertutto nel corso dei decenni. La storia è nata dal suo interesse per quell’arco temporale del Novecento, per quella storia europea tra le due guerre, per quel mondo, e anche per quel tipo di personaggio che è il nostro Monsieur Gustave, il concierge del Grand Hotel”. A dir la verità, a noi pare più corretto parlare di Europa centro-orientale, considerato che la visione del film ci ha mostrato tratti riconducibili all’Ungheria, alla Repubblica Ceca, all’Austria, ed anche – seppure un po’ meno – alla Germania; quindi, riteniamo ci sia molta mitteleuropa. Non pochi colleghi della stampa, all’anteprima romana, hanno creduto di riconoscervi Praga, e forse alcuni lo scriveranno nei loro articoli; ma non condividiamo questa impressione, dato che il film è ambientato in una città immaginaria che potrebbe appartenere a qualsiasi nazione del centro-est Europa (più centro che est, peraltro), nonché opportunamente considerato che le riprese, iniziate il 14 gennaio 2013, si sono svolte tutte a Berlino e nei suoi immediati dintorni. Quindi, riconoscervi molto di Praga appare non verosimile. In ogni caso, sussistono molte incongruenze nella collocazione della località immaginaria e nelle altre in cui si sposta l’azione del film. Difatti, se all’inizio viene perfino menzionato il riferimento alle Alpi (che al di là della menzione, in vari tratti appaiono riconoscibili), è anche vero che i ripetuti riferimenti termali centro-europei riconducono all’Ungheria (pensiamo non sia così casuale che nella fantasia autorale l’hotel si chiami Budapest), così come c’è un riferimento iniziale ad un non meglio specificato estremo confine orientale (dell’immaginaria Repubblica di Zubrowka) e tanti altri riferimenti fantasiosi ed un bel po’ spiazzanti, almeno geograficamente parlando. Questo film appare un intelligente ed originale viaggio in un mondo immaginario ricco di riferimenti reali, facilmente riconducibili al periodo che va dalla prima alla seconda guerra mondiale. Difatti, sullo sfondo c’è la terribile pagina del nazismo, ma anche molto altro. La pellicola, se geograficamente è confusionaria, storicamente appare molto più credibile, e non pensiamo sia un caso. Anche tecnicamente, Anderson ha voluto servirsi di scelte (formato di proiezione, in testa) che si rifacessero fedelmente al periodo in cui si svolge la narrazione di ispirazione legata a Zweig (autore di molti racconti brevi e di un solo romanzo, al quale i nazisti – nel 1933 – bruciarono tutti i suoi scritti), adottando quanto in essere prima dell’arrivo del Cinemascope. Il fascino e la credibilità relativi all’epoca della narrazione sono esaltati dalla regia, dalla scenografia e da  scelte tecniche come quella appena accennata. Anche per questo, consideriamo il cast tecnico nient’affatto inferiore al veramente straordinario cast attoriale. Appaiono evidenti, e verosimilmente non propriamente involontarie, riferimenti a Wilder ed a Lubitsch. Come in “Vogliamo vivere”, del citato Lubitsch, ed in “Train de vie”, di Radu Mihaileanu, Anderson ci vuol far (anche) sorridere nonostante i drammi sullo sfondo (e neanche così tanto solo sullo sfondo). Tutto ciò non offusca, anzi, mette meglio in luce, la riflessione su quanto accaduto in Europa in quei drammatici decenni. Il film, e concludiamo, rappresenta anche un’eccellente ed acuta riflessione sull’arte del narrare. Anderson non meno abile narratore del Novecento di Zweig, nonostante si parli di un regista di contro ad un narratore, e di un uomo del XXI secolo di contro ad uno che – nato nel XIX secolo – ha attraversato quasi l’intera prima metà del XX secolo.

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