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Mauro Tippolotti: il turbamento del colore

In lui non c'è la mera rappresentazione del reale, di un reale trasfigurato in geometrie e macchie di colore, ma traspare, anche con rabbia, il suo intimo con la voglia di raccontare e raccontarsi.

DIPINTOTIPPOLOTTI-IN-MARE-APERTOCredo si possa dire dell’uomo Mauro Tippolotti, relativamente alla sua pittura, che egli secondo un’antica tradizione zen, era nel buio ha acceso la luce ed…ha visto. Per sua definizione egli si professa un astrattista, alla cui corrente sicuramente appartiene ma ritengo che, contrariamente a quanto affermato dall’astrattismo che parte dalla riduzione del reale per giungere alla dissoluzione graduale dell’oggetto rappresentato, l’autore, in qualche maniera si “smarchi” da questo progetto evolutivo. Voglio dire che, osservando le sue opere, le parole astrarre ed astrarsi perdono d’ogni significato. Se per astrarre intendiamo tenere lontano, distogliere l’attenzione dalle cose terrene e per astrarsi l’estraniamento e l’isolamento dalla realtà, queste non gli appartengono. In lui non c’è la mera rappresentazione del reale, di un reale trasfigurato in geometrie e macchie di colore, ma traspare, anche con rabbia, il suo intimo con la voglia di raccontare e raccontarsi. Forse per troppo tempo ciò è rimasto ingabbiato, visti gli importanti impegni istituzionali, che gli hanno si consentito di coltivare la sua passione,ma ne hanno “ostacolato” la rivelazione. E quando questa si è manifestata, l’autore, con razionalità ed emozione, coerenza e sentimento ha sparso d’intorno il suo sentito sociale e sentimentale. Egli legge lo stato delle cose, la tragicità degli eventi, le inquietudini dell’animo e l’asprezza dei turbati sensi in maniera intimista e sofferta, non negandole ma evidenziandole nella poesia, a volte, cruenta della pennellata. Fa suo il concetto di Kandinskij (“quanto più questo mondo diventa spaventoso, tanto più l’arte diventa astratta”) che manifesta anche attraverso un complesso gioco architettonico espresso in  geometrici segni che vanno, intersecandosi, a tracciare spazi e tasselli colorati; si nutre di una nuova spiritualità, mediante un uso libero delle forme. La sua percezione del mondo si trasmuta sulla tela in una cromatica sequenza ora gioiosa ora drammatica, che si stende secondo una ben precisa linea armonica, interpretando il pensiero di Goethe nel suo “Farbenlehner – La teoria dei colori – ”, dove il poeta tedesco asseriva che “Ogni singolo colore stimola nell’occhio, mediante una sensazione specifica, l’aspirazione alla totalità. Per conseguire questa totalità, per appagarsi, l’occhio cerca accanto a ogni zona di colore una zona incolore, sulla quale produrre il colore richiamato dalla prima. Questa è la legge fondamentale di ogni armonia cromatica.” Note e colori si fondono nell’esecuzione di una sinfonia che si rivolge non solo all’occhio dell’osservatore ma anche al suo udito. Sentire, ciò è quanto chiede Tippolotti allo spettatore: ascoltare il fluire delle sue colorate note invitandolo ora a fluttuare nella dimensione del suo spirito, ora a riflettere sugli accadimenti del Tempo. Come in “Shoa”, dove lo scatenamento delle emozioni sulla tela, non cede all’uso aggressivo del colore, bensì  perpetua nei simboli che distinguevano gli internati dei lager, la memoria di un passato che non può passare; grigio il fondo così come il lugubre controcanto dei campi. Sono restìo, per natura mia, a pensare ad una casualità, financo negli allestimenti e non appaia strano, come nel loro esporsi, alcune opere si accostino “asimmetricamente”; sia quasi volontà dell’autore far vedere lo scavallamento degli umori dai toni più tetri e bui (“Fil rouge”) a quelli d’estrema gioiosità (“Aria e acqua” piuttosto che “Love”); offrendo a chi guarda l’opportunità di muoversi e trovare una risposta negli spazi – percorsi sofferti ma liberatori – che si frappongono fra le opere stesse. Così, in “Mare Nostrum misericordioso” urla tutta la sua sofferenza affidandosi ad uno stormo di gabbiani, che in sanguinolente lacrime spenge le proprie ricordanze celando nel nervoso sbatter d’ali l’azzurro di un cielo che non può più essere ed il mare disperde nella macchia di sangue, il frangersi blu dell’onda; nel “In mare aperto” l’artista con tocco deciso invoca la forza della speranza: schiaffeggiata dal vento e dalle violente mareggiate, s’apre uno squarcio la vela; decise pennellate contrastano il placido incedere in una non tanto immaginaria bonaccia; in “Dopo la piena”, scompone i colori, li (s)travolge vittime della (loro) natura irrequieta; “Maestrale”, con quel bianco che graffia il grigio/nero sullo sfondo, libera in termini virulenti il turbamento interiore dell’artista/uomo che pur cupo e fosco aspira ad un respiro spiritualmente vitale. Nel rincorrersi di forme, suoni e colori, nel narrare storie amare, tragiche e giocose  Mauro Tippolotti non solo ha acceso la luce e si è sporto dal buio, ma con la sua arte si è – ed ha – elevato la sua anima, toccando vette e spaziando in luoghi che né a lui, né a noi  che lo abbiamo ascoltato e respirato, sembreranno essere più tali;o se – in alcuni casi – tali rimarranno li avremo comunque riflettuti e sofferti.  E torneremo per non essere più coloro che eravamo alla partenza. Questo è il compito dell’arte ed è ciò che con la sua opera l’artista ha svolto: una funzione purificatrice.

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