Skip to content

Senza mani in bicicletta

Sabato 5 marzo, a Perugia, presso l'Art Gallery Studio dell'artista Monia Romanelli, nell'ambito della rassegna “Incontro con l'Autore” si sono confrontati i poeti Sergio Carrivale e Bruno Mohorovich.

Presentazione 5 marzoSabato 5 marzo, a Perugia, presso l’Art Gallery Studio (via s.Agata,1) dell’artista Monia Romanelli, nell’ambito della rassegna “Incontro con l’Autore” si sono confrontati i poeti Sergio Carrivale e Bruno Mohorovich, rispettivamente autori di “Senzamaninbicicletta” e “Storia d’amore – una fantasia”editi da Bertoni Editore. L’incontro, coordinato da Jean Luc Bertoni alla presenza di un pubblico numeroso e partecipe ha visto i due, raccontarsi vicendevolmente, presentando l’uno l’opera dell’altro in una schermaglia dialettica, ma soprattutto poetica. La lettura delle poesie è stata affidata all’attrice Floriana LaRocca. Presente anche l’artista perugino Stefano Chiacchella che ha esposto alcuni suoi disegni, ispirati alle poesie di B. Mohorovich. Qui di seguito, riportiamo la lettura che è stata offerta all’opera di Sergio Carrivale “Senzamaninbicicletta” da parte del nostro collaboratore.

Se c’è una cosa che tutti abbiamo provato a fare,almeno da ragazzi, è stata quella di andare in bicicletta senza mani – o meglio per rendere omaggio all’autore, senzamaninbicicletta -: ognuno di noi che l’ha provato sa quali difficoltà abbia incontrato e quali stratagemmi abbia adottato.  Certo è che una volta imparato si è andati incontro ad un mondo ed a quanto di più metaforico in esso si potesse celare. Intanto, l’equilibrio; inizialmente precario, sempre vigili a dare assestatine al manubrio ché mantenesse la retta via. L’altra entità metaforica che si manifestava – una volta acquistata la sicurezza – era quella di procedere ritti col busto praticamente a 90^ con la canna,tenendo o le braccia incrociate sul petto o a penzoloni lungo il corpo, magari azzardando con disinvoltura un appiglio con le dita dietro al seggiolino. La sensazione d’onnipotenza e di dominio che se ne ricavavano non avevano pari; la nostra postura sferzava l’aria, il vento si frangeva contro il nostro volto. La stessa andatura, lenta, cadenzata ed amicale, cui ci costringeva lo stile di guida, diventava occasione per riflettere, pensare e ripensarci, una consapevole voglia di riflettere: inconsciamente, con quella pedalata regolare che non concedeva strappi, eravamo – se non alla conquista – alla ricerca di qualcosa. In queste parole, credo si possa riassumere l’essenza delle poesie/non poesie di Sergio Carrivale. Ad una dapprima curiosa e poi sempre più attenta lettura, il poeta mi ha suggerito un aggettivo: “spiazzante”. Il viaggio verso il quale ci conduce, o meglio ci trascina portandoci per mano, qualche volta fa venir voglia di lasciar la presa ed andarsene per conto proprio, saltando di pagine in pagine alla ricerca di versi più aggradanti, meno aggressivi ed arrabbiati. Pensi di percorrere una strada lineare, il manubrio libero dalle mani, ed all’improvviso ti ritrovi ad incrociare altri percorsi, mai delineati, ora impervi ora dolci, ora tortuosi ora coerenti. Ma poi, come quasi sempre succede in questi casi, dopo una dovuta riflessione, ritorni sui tuoi passi e ti fai imbrigliare nel gioco e nel disfacimento delle parole e tessitura di lemmi che, in entrambi i casi, non si sottraggono a circonlocuzioni, ma colgono – provocando perché no?, anche un qualche fastidio, laddove l’ironia e la satira sono più penetranti, financo intimi. Per questo ho parlato di “non poesia”, in quanto nel denunciare le depravazioni sociali cui l’individuo non solo è costretto (“Se non s’andasse più a votare/ risparmieremmo i costi inutili…”) , ma deve subire senza possibilità di replica (“[…] con la bile autogestita/di soprusi d’ogni giorno/prepotente millanteria…”) avvallando, suo malgrado, la prostituzione culturale (“All’albero della Sapienza /– tu ministro d’ignoranza – /vuoi potare le radici”), Carrivale ricorre a termini linguistici diretti, che non hanno interpretazioni né ad esse si prestano. Molte sue espressioni, potrebbero essere rapportate ad altrettanti fotogrammi di un film surrealista; propongono accostamenti, quasi inopportuni ma non impropri. Egli fornisce al lettore molti punti d’osservazione, propri del cinema, e fa in modo che i suoi segni divengano pittura del pensiero. Pensiero – che non solo s’arricchisce di dotte citazioni o dediche, ad Atum – Ra ad Ofelia a Medea a Cézanne – che esalta nella celebrazione del mito Pirandelliano nel cui nome apre questa raccolta ed attribuendone allo scrittore siciliano la scelta di una filosofia di vita, ponendo al centro del suo percorso l’Uomo e la sua crisi d’identità; quell’uomo che non ha certezze, che si sente escluso, estromesso e vilipeso dalla società. Gli ideali cui esso s’aggrappa vengono via via sconvolti, frammentati e Sergio Carrivale li inscena con spensierata amarezza ed inquietudine. Il sorriso nel corso di qualche lettura si storce in disgusto, non per il verbo in sé, quanto per l’impudica verità ch’esso rivela. Simbolo di questo pensiero “carrivaliano” è quel Fu Mattia Pascal nei panni del quale il nostro volentieri si cala e si cela: lo sgretolamento dell’identità individuale è, infatti, una delle tematiche – se non la Tematica – che il nostro affronta non senza sofferenza (“[…]non disturbare la mia quiete/perpetuo invisibile ronzio…”),nè voglia di resa (“[…la corteccia/è una corazza impenetrabile/che la vita non abbandona…”).  Nel sottotitolo della sua raccolta, Sergio Carrivale scrive “vorrei esser poeta poiché ciò mi piace…”, ed invero piace anche a noi ch’egli lo sia, perché leggendolo – al di là dello spiazzamento iniziale – egli ci reca nei meandri del poetare più dolce, traendoci anche in inganno; leggiamo versi che ci prendono, che ci realizzano nella mente un profilo femminile e c’accorgiamo che parla di…poesia! Poi si scorre il libro e ci s’imbatte in altrettanti dolci versi d’amore al femminile…e parla di una donna! Qui il “gioco” di Sergio diventa interessante, perché crea una dicotomia poesia/donna (“Tu non lo saprai/ch’è t’ho dedicato una poesia[…]) che finisce per essere tutt’uno: ne percorre e ripercorre gli spazi intrinsecandoli di richieste ed offerte, d’ invocazioni ed affanni (“[… ]e alla fine/ ti ritrovi ad aspettare/ il treno giusto/ al binario sbagliato.”),di ricordi ed evocazioni, in un perenne susseguirsi di amore/eros. La donna cantata nei suoi gesti, nei suoi tratti fisiognomici diviene qualcosa d’ estremamente personale, inviolabile ed intoccabile agli altri se non al Poeta, che la disegna per sé e la sottopone – anche nella più profonda intimità – al nostro sguardo e par che goda nel sapere che lui ha potuto laddove noi non possiamo osare. Gesti ed atti d’amore si confondono in una natura non sempre florida (dune, deserto) ed in quegli elementi – i più vari – ch’ essa offre: venti, riflessi, arcobaleni; comunque sempre qualcosa d’impalpabile e sfuggente, quasi con il timore di non riuscire a trattenerli ma quando il poeta/uomo si lascia andare riesce ad elevare anche la più semplice delle frasi. “mi sono solo/innamorato di te”. Similmente accade quando tratta della poesia, scrive di essa e ad essa s’appella per dar ragione della sua vita, in quanto – e cito Pirandello – “Una realtà non ci fu data e non c’è;ma dobbiamo farcela noi se vogliamo essere”; giacché poesia e poeta sono l’una il prolungamento dell’altro: sono, insieme eros e thanatos, l’alfa e l’omega (“[…] il tuo pugno ti ricorda/ che i versi sono tuoi”). Quando tieni – o stringi – tra le mani l’opera di Sergio Carrivale, sai che hai deciso d’intraprendere un viaggio, non fra le righe di un poetare futurista, surreale o romantico, ma alla scoperta di un mondo che ci sfiora e che pensiamo non ci appartenga, di un pozzo cui abbiamo solo creduto d’attingere l’acqua, di un uomo, che ha il coraggio di guardare intorno e volgere lo sguardo fuori e dentro sé, come quel passeggero che imbocca il tunnel bambino e ne esce adulto…un peregrinare lungo e lento che può condurre lontano e che a volte, è come il treno di mille parole/mute.

© 2006 - 2024 Pressitalia.net by StudioEMME