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Perché votare al referendum del 17 aprile?

Questo referendum, secondo una logica puramente economica, è pressoché inutile, poiché le trivellazioni in atto entro il limite delle dodici miglia oggi soddisfano soltanto una percentuale insignificante del fabbisogno.

creferendum 2016_iconaQuesto referendum, secondo una logica puramente economica, è pressoché inutile, poiché le trivellazioni in atto entro il limite delle dodici miglia oggi soddisfano soltanto una percentuale insignificante del fabbisogno. Fabbisogno che nei prossimi anni potrà essere ampiamente soddisfatto con altri tipi di energia rinnovabile e alternativa a petrolio e gas. Il referendum ha la finalità, si spera, di abrogare la legge del 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016) art. 6 ecc. che permette ad alcune aziende, operanti nel campo dell’energia, di estrarre petrolio e gas entro le dodici miglia dalle coste italiane e reintrodurre, quindi, la precedente norma che prevedeva che la concessione per la ricerca e per l’estrazione avesse una scadenza compresa tra i sei e i trent’anni. Secondo la Corte di Cassazione e quella Costituzionale che hanno promosso il referendum “nessuna concessione di un bene dello Stato può essere affidata a un privato senza limiti di tempo”. Senza voler entrare nel merito delle inchieste in corso a carico di alcuni membri del Governo attuale sugli emendamenti passati per favorire alcuni amici, questo risulta essere l’ennesimo regalo ad una certa elite di imprenditori, troppo vicini ad esponenti di governo. Fortunatamente il movimento referendario ha dato l’altolà a questa legiferazione pilotata e ha ottenuto significative vittorie costringendo i legislatori a rivedere le loro proposte su alcuni importanti punti come ad esempio quello che riconduce agli enti locali le decisioni per le attività a terra che col decreto sblocca Italia del ’14 erano state assegnate al Governo. La nuova legge, pur non permettendo il rilascio di nuove concessioni, consente nuove installazioni e nuove trivellazioni nelle concessioni già rilasciate. Questo, ad esempio, è il caso di Vega B piattaforma che si trova nel canale di Sicilia e per cui il governo ha recentemente dato il via libera al raddoppio della piattaforma petrolifera Vega A, gestita dalla società Edison. Il ministero dell’Ambiente si è costituito parte civile contro i sei manager e dirigenti del gruppo italo-francese nell’ambito del processo per lo smaltimento illecito di rifiuti e ha chiesto un risarcimento per “ingiusto profitto” pari a 69 milioni di euro, ma questo procedimento è stato avviato nel 2007 e si sta avvicinando pericolosamente, a causa di continui rinvii e vizi di forma, alla prescrizione. Ecco un altro esempio di quel che succederà col referendum: se vince il SI il titolo andrà a scadenza nel 2022 e la piattaforma sarà fermata, se vince il NO sarà realizzato anche questo secondo impianto nell’ambito della concessione esistente. Quella di Vega non è un caso isolato e anche di fronte alle coste abruzzesi si sta verificando un’omologa situazione che riguarda la concessione “Rospo di Mare” dove è già prevista l’istallazione di nuove trivelle e l’apertura di nuovi pozzi. In questo caso se vince il SI la scadenza è fissata nel marzo 2018 e quindi non ci sarebbero ulteriori ampliamenti; se vince il NO “Rospo di mare” potrà autoriprodursi nell’Adriatico. E poi c’è il caso di Ombrina mare, progetto per una piattaforma petrolifera a sole 3 miglia dalla costa che in questo momento è fermo almeno fino a fine 2016. Votare SI o NO? A nulla valgono le considerazioni su eventuali perdite di posti di lavoro a causa del risultato del referendum, anzi, hanno il sapore amaro del ricatto posto in essere già spesso in passato da governanti e capitani d’azienda quando per ottenere benefici dallo Stato (accenno solo vagamente all’ambiente televisivo) minacciavano licenziamenti. Oggi la situazione è ancor peggiore poiché emerge che industriali nel campo energetico abbiano legami (quanto meno parentali e amicali) con ministri del governo. Quindi, per quanto riguarda l’occupazione, nessun posto di lavoro sarà a rischio a causa del referendum. Non sarà più a rischio di quanto non lo sia già con la crisi economica in atto e che non recede. Non sarà a rischio perché alcune aziende ricaveranno di meno a spese dell’ambiente. Inoltre non aiuta l’occupazione la riduzione dei consumi di gas (-21,6%) e petrolio (-33%) con la diffusione delle rinnovabili e una politica energetica che presenta ampie falle di buon senso. Naturalmente con la vittoria del SI non chiuderà alcuna attività estrattiva in corso ma sarà ripristinata solo la scadenza prevista prima della Legge di Stabilità 2016. Troppo spesso l’interesse e il capitale hanno la meglio sul bene comune e nessuno può garantire che non si verifichino incidenti e non si ha la garanzia assoluta della sicurezza delle piattaforme ed impossibile anche solo immaginare i possibili danni ambientali che potrebbero verificarsi nel nostro mare. Danni incalcolabili e irreversibili considerando che i nostri mari sono chiusi e un eventuale incidente nei pozzi petroliferi o durante il trasporto sarebbe fonte di enormi danni nel Mediterraneo. Secondo il “Piano di pronto intervento nazionale per la difesa da inquinamenti di idrocarburi o di altre sostanze nocive causati da incidenti marini” di Ispra, le tecniche di rimozione delle sostanze sversate consentirebbe di recuperare, al massimo, il 30% del totale. Inoltre le piattaforme sono delle vere e proprie attività industriali con tutti i pro, ma soprattutto i contro, della produzione specie in considerazione della specifica materia e in relazione all’ecosistema marino e costiero italiano che a causa delle sostanze chimiche inquinanti e pericolose come oli, greggio, metalli pesanti o altre sostanze contaminanti utilizzate nell’industria apre nuovi scenari su probabili gravi conseguenze nell’ambiente marino. Danni che sono già iniziati con un sistema per la ricerca, come l’Air-Gun di cui parla in un’intervista la prof. Maria Rita D’Orsogna, fisico, docente universitario e attivista ambientale: “L’airgun è una tecnica di ispezione dei fondali marini, per capire cosa contiene il sottosuolo. Praticamente ci sono degli spari fortissimi e continui, ogni 5 o dieci minuti, di aria compressa che mandano onde riflesse da cui estrarre dati sulla composizione del sottosuolo. Spesso, però, questi spari sono dannosi al pescato, perché possono causare lesioni ai pesci, e soprattutto la perdita dell’udito. Questo è molto grave perché molte specie ittiche dipendono dal senso dell’udito per orientarsi, per accoppiarsi e per trovare cibo. Già in provincia di Foggia ci sono stati degli spiaggiamenti (sette capodogli morti a Peschici, n.d.r.) che potrebbero essere dovuti a queste tecniche pericolose“. Serena Pellegrino, capogruppo in commissione Ambiente a Montecitorio afferma che “sulla norma che vieta gli airgun Renzi cede alle lobbies dei petrolieri, in barba ai tanti cittadini che da anni chiedono che il Parlamento approvi una legge che punisca gli ecoreati”. Inoltre non bisogna sottovalutare il fenomeno della subsidenza: l’estrazione di gas sotto costa comporta la perdita di volume del sedimento nel sottosuolo generando un abbassamento della superficie topografica esponendo le coste alle mareggiate alle piene fluviali, favorendo l’erosione costiera, con la perdita di spiagge che si ritorcerebbe sul comparto turistico delle località marine. A conferma di ciò l’ordine del giorno appena approvato dal Comune di Ravenna chiede all’Eni di interrompere l’attività della piattaforma Angela Angelina, a ridosso della costa di Lido di Dante, a causa dell’elevata subsidenza riscontrata nella zona. La domanda è: Abbiamo veramente bisogno del gas o del petrolio adriatico? Dalle piattaforme esistenti è in attività si estrae gas e petrolio pari solo al 3 e all’1% del nostro fabbisogno nazionale e in Italia oggi si produce elettricità con impianti a biogas per il 7% dei consumi, e il potenziale per il biometanoche può essere immesso nella rete Snam per sostituire nei diversi usi il gas tradizionale, è di oltre 8 miliardi di metri cubi ossia il 13% del fabbisogno nazionale: oltre quattro volte la quantità di gas estratta dalle piattaforme. Investire nelle fonti rinnovabili, quindi, avrebbe un forte impatto per l’economia italiana e soprattutto per l’ambiente, ma da troppi anni ormai si attende l’approvazione di un decreto che agevoli, nell’interesse generale, la produzione di energie alternative per favorire quei gruppi (e alcuni personaggi attualmente indagati) che gestiscono il gas, come Eni e che sono proprio quelli che hanno quasi monopolizzato i nostri mari. In tutti i casi il referendum è uno strumento nelle mani del cittadino: andate a votare SI o anche NO se preferite, ma andate a votare. Fatelo per voi stessi per la vostra dignità e non siate solo burattini al soldo della pubblicità e dell’informazione del sistema. Il Referendum, qualunque cosa pensiate è un tesoro a cui non è giusto rinunciare per favorire con ingiuste leggi l’interesse di aziende e multinazionali.

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