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“Chiudi la finestra Sylvia”

La drammatica sistenza di Sylvia Plath, poetessa americana è stata portata sulle scene umbredall'attrice di origine tarantina Floriana la Rocca poliedrica artista

FOTO-FLORIANALa travagliata e tragica esistenza di Sylvia Plath, poetessa americana è stata portata sulle scene umbre (prima a Corciano, settembre 2016) dall’attrice di origine tarantina Floriana la Rocca poliedrica artista che vanta nei suoi trascorsi significative prestazioni e collaborazioni nel mondo della canzone (Ivan Graziani, Pino Daniele, Gino Paoli), della tv (Maurizio Costanzo show), del teatro (Giorgio Albertazzi), fino alla pubblicazione di “Distretto d’amore” raccolta di poesie per i tipi della Bertoni Editore e che debutterà alla sala Cutu di Perugia, nell’ambito della Stagione INDIZI 2016-2017, domenica 15 gennaio alle ore 17,30 nell’atto unico scritto e diretto da lei “Oltre le parentesi – non sono Sylvia Plath”, che si avvale delle percussioni di Al Fonzo e della voce FC di Nando Tucci. Sembra una vita segnata dal seme dei suicidi quella della poetessa americana; seme ch’ella stessa ha “germogliato” togliendosi la vita (muore a Londra nel 1963) e che ha maturato le analoghe morti della poetessa americana Anne Sexton (con la quale la Plath ha un rapporto d’amicizia minato di pettegolezzi e con la quale intesseva racconti sui rispettivi tentati suicidi), di Assia Wewill e di sua figlia avuta dal poeta Ted Hughes, già compagno e marito di Sylvia, Amelia Rosselli, altra grande poetessa e sua traduttrice che si ucciderà nella stesso giorno della Plath l’11 febbraio 1996,  fino al più recente (2009) di Nicholas Farrar, secondogenito della Plath e Hughes generato con la speranza vana di rinsaldare un matrimonio ormai finito. A questa poetessa – morta a 30 anni – che ha contribuito allo sviluppo della poesia confessionale, dà corpo e voce Floriana la Rocca donandoci un’interpretazione intensa, altamente drammatica la quale percorre le tappe della breve vita dell’autrice di “ La Campana di vetro”, muovendosi su un palco che scenograficamente rappresenta mediante oggetti/simbolo il mondo di questa donna che, figlia di emigranti tedeschi e cresciuta nella venerazione del padre scomparso quand’ella era ancora bambina e precocemente, felice e spensierata, approdata alla scrittura poetica, giunge alla fine dei suoi giorni consapevole d’aver subito un torto dalla vita segnata da ripetute crisi depressive. Una vita che non esita a togliersi non prima di aver scritto l’ultima poesia intitolata “Orlo“. Il sipario è aperto; su un alto capitello siede imperiosa e con lo sguardo fisso oltre la quinta l’attrice / poetessa…è un lungo silenzio che non viene distolto dal brusìo degli spettatori in sala che prendono posto ed i quali subito vengono catturati da questa inedita accoglienza, da questa altera “scultura” deiforme ed al calar delle luci vengono rapiti dalla trama dei ricordi che La Rocca/Plath snocciola tra memoria, scrittura del diario tanto caro alla scrittrice americana  dove registra ogni attimo ogni spasimo della vita intima e sociale e lettura di poesie. “Chiudi la finestra Sylvia”, è l’intercalare che funge da snodo nel  passaggio di questo viaggio esistenziale, una finestra che sta al centro del palco, realizzata dall’artista Eros Furiani, e che funge da raccordo interno/esterno quello “specchio/lago” evocato in alcuni pregnanti versi (Nel fondo del tuo cristallo/vedo magie d’acqua -/o mio amato lago,/rimescola le correnti,/fa che i miei occhi/siano quelli d’allora,/innocenti occhi sognanti./ Orrenda triste visione -/ deforme un corpo/riemerge/dall’abisso,/porta in sé i vermi,/l’orrido putridume di carne/ lacerata da spumose lame affilate.[…]). Un sipario che Sylvia Plath calerà  sigillando porte e finestre, non prima d’aver preparato pane e burro e due tazze di latte da lasciare sul comodino nella camera dei bambini.

Come mai la Plath, una poetessa semisconosciuta ai più?

Ho sempre amato guardare e “sentire”ciò che racconta una vita tumultuosa non illuminata dalle luci della ribalta. Sylvia Plath rappresenta, a mio parere, l’acme del disagio interiore trasformatasi in Versi, la cui scintilla è riconducibile alla perdita in giovane età di suo padre. Un amore irrisolto, reciso, che la condurrà a scegliere la Morte dopo alcuni tentativi non riusciti e la devastante esperienza del tradimento di suo marito, il poeta Ted Hughes. Non a caso la scoperta della Sua Poesia è postuma, ritenuta poi di grande valore poetico-letterario oltre che umano. Il concept di questo progetto attoriale sulla poetessa americana morta nel 1963 a Londra è scaturito dalla mia voglia di capire, mai completamente soddisfatta, e dal desiderio di raccontare la Bellezza del Dolore se e quando diventa “comunicazione”. Due anni or sono, al teatro Cucinelli di Solomeo (PG), Charlotte Rampling fu lettrice-interprete delle sue poesie. Io mi sono spinta oltre, impersonando Sylvia Plath, scrivendone i testi delle parti recitate ed occupandomi della messinscena.

Quali punti di contatto tra la sua poetica e la tua?

Esiste un punto imprescindibile tra lo scrivere della Plath ed il mio: il circuito chiuso nel quale riesco come lei a perdermi e a trasformare l’intimistico martirio in emozioni universalmente riconoscibili. Certo, in dimensioni, epoche e storie personali diverse, accomunate probabilmente da una sensibilità non facile da descrivere. A differenza sua, scelgo e sceglierei sempre la Vita, ma la Morte si sa, è il più misterioso Assoluto.

Che cosa rappresenta la Plath nel panorama della poesia internazionale? Lei è stata l’unica poetessa ad aver ottenuto il premio Pulitzer per la poesia dopo la morte.

Sylvia Plath è la summa dei disagi e della solitudine che apparentemente si riesce a stanare ma che in realtà nulla e nessuno può rimuovere. E’ come un cappotto molto pesante da portare in primavera. E’ la stonatura di un non colore su una coloratissima tavolozza. Un gesto d’amore inespresso, la cui assenza ti devasta tuo malgrado. Questa condizione è di tutti, o può esserlo. Il Male Oscuro non è scontato che debba produrre versi e pensieri di grande Bellezza; La depressione dalla quale Ella non riuscì a sottrarsi li ha prodotti. In questo è racchiusa la Sua grandezza, e merita appieno l’internazionalità cui poi è assurta.

La scelta delle percussioni di Al Fonzo, piuttosto che brani musicali più o meno conosciuti è stata dettata dalle caratteristiche umane e psicologiche della Plath?

Non avevo bisogno d’essere coadiuvata dalla musica per questo progetto. La scarnezza con cui procedo nella performance acquisisce stranamente compattezza e senso con gli effetti sonori di Al Fonzo che dà vita a stridori e dolcezza. Suoni paradossali che riempiono di brividi il percorso attoriale da me voluto, come paradossale fu la vita della Plath. Il suo “diretto contatto col Cielo” lo si evince chiaramente e fortemente dalla poesia SONO VERTICALE. Quando nello spettacolo arrivo alla lettura di questi versi devo fare un grande sforzo per non commuovermi.

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