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Valpolicella Classico Superiore, 2004, Giuseppe Quintarelli

Nel Valpolicella Classico Superiore, troviamo il significato sia al naso che in bocca, di terroire, di uve autoctone, di storia.

Un vino che riesce a parlare della sua zona d’origine e dell’espressione autentica di Giuseppe Quintarelli

Valpolicella-Classico-2004Bepi, figlio della Valpolicella, per gli amici un nomignolo che ancora sa evocare una grande personalità; per gli appassionati un mito, di quelli che con il vino sono riusciti a fare la storia non solo di un territorio.

Bepi, il Maestro dell’Amarone, evoca da sempre un’etichetta, scritta a mano, calligrafia fine, ordinata, pulita, proprio come sono i suoi vini: integralisti, sia nella personalità, che nell’attaccamento e nell’espressione sia del territorio, che alle tradizioni, e alle origini contadine della sua famiglia. Forse è per questo c’è poco altro di così classico come i suoi vini, capaci di parlarci di territorio, di passione e tenacia.

Mentre nell’Amarone ritroviamo puntualmente tutta la personalità e il nome di un grande vino, nel Valpolicella Classico Superiore, troviamo in un modo inconfondibile il significato sia al naso che in bocca, di terroire; di uve autoctone, Corvina in su tutte; di storia, con i vitigni meno tradizionali.

Già dal suo colore rosso rubino, intenso, compatto, con note aranciate, presagio del tempo, questo è un vino capace di evocare bevute tra amici; e lui, in genere, in cantina faceva entrare solo chi gli piaceva. Il suo vino è così: resta quasi impenetrabile, inafferrabile, un mito che nasce nella zona classica della Valpolicella, a Negrar, figlio di vecchie vigne, quelle che forse hanno conosciuto la mezzadria.

Al naso, i profumi trascendono il mito, spicca la ciliegia, l’amarena, a parlarci è la Corvina, uve leggermente appassite ben riconoscibili con la loro nota dolciastra che ci racconta di se, vitigno autoctono del Veronese, della sua terra e delle genti, ricorda la complessità di questa cantina. A questa uva, si legano vitigni meno di territorio, ma che hanno pur sempre una loro tradizione nella zona, ne nasce un coro olfattivo ampio ed intrigante: profumi di spezie, date anche dalla botte, di pepe verde, cannella, chiodi di garofano, salgono al naso piano piano; per chiudere con note piacevolmente balsamiche che ci ricordano l’attesa nella bottiglia che abbiamo stappato: incenso, liquirizia, polvere di caffè e, quasi fumo, il tutto sempre accompagnato dalla sfumatura dolce.

In bocca mi ha stupito la corrispondenza notevole con il naso, con un piacevole alcol che ne allunga la persistenza gustativa in un rimando continuo di piacevole frutto e spezia.

Un vino che a ben ragione riesce a tramandare il mito di un uomo, figlio della Valpolicella, che ha saputo interpretare la sua terra, la tradizione, le uve. è quasi riuscito a sublimare tutto questo nei suoi vini, che anche dopo anni e anni di bottiglia e cantina, sanno essere suoi degne opere d’arte.

Ed io, ho avuto il privilegio di poter contemplare la mano dell’artista che crea.

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