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“La Tenerezza” e il cinema di Gianni Amelio

Il film è ispirato al romanzo "La tentazione di essere felici" di Lorenzo Maraone e sviluppato in sceneggiatura da Gianni Amelio ed Alberto Taraglio.

“La tenerezza” è il nuovo film di Gianni Amelio, regista 72enne di San Pietro in Magisano, nel cuore della Calabria, romano adottivo da circa mezzo secolo. Questo nuovo film è nelle sale dal 24 aprile, ma è anche l’occasione per ripercorrere la carriera di questo grande maestro del cinema italiano.

Gianni Amelio è stato il massimo protagonista del cinema italiano degli anni Novanta, tanto da aver vinto il David di Donatello per tre volte, tutte raccolte tra il 1990 (‘Miglior film’ per “Porte aperte” ed il 1992 (‘Miglior film’ e ‘Miglior regista’ per “Il ladro di bambini”). Più fortunato con il secondo premio più prestigioso del cinema italiano, il Nastro d’Argento, vinto per ben cinque volte: nel 1981 ‘Miglior soggetto’ per “Colpire al cuore”, nel 1991 ‘Regista del miglior film’ per “Porte aperte”, nel 1993 ‘Regista del miglior film’ e ‘Migliore sceneggiatura’ per “Il ladro di bambini”, nel 1995 ‘Regista del miglior film’ per “Lamerica”, nel 2005 ‘Regista del miglior film’ per “Le chiavi di casa”. Il regista calabrese si è aggiudicato tre volte il Globo d’Oro, premio assegnato dalla stampa estera in Italia: nel 1990 ‘Miglior film’ e ‘Miglior sceneggiatura’ per “Porte aperte” e nel 2012 ‘Gran Premio della stampa estera’ per “Il primo uomo”. Inoltre, alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (dove ha partecipato, sempre in gara, ben cinque volte, dal 1994 al 2013), ha vinto il ‘Leone d’Oro’ nel 1982 con “Così ridevano”, seppure il premio sia stato molto discusso e controverso. Amelio vanta anche una nomination agli Oscar, nel 1991, con “Porte aperte”, nella sezione ‘Miglior film straniero’. Il regista calabrese è sempre stato più amato all’estero che in Italia. Lo dimostra anche uno straordinario palmarés conquistato negli anni un po’ dovunque nel mondo. In particolar modo, ha vinto l’European Film Award (un po’ l’Oscar europeo) nel 1990 con “Porte aperte”, nel 1992 con “Il ladro di bambini” e nel 1994 con “Lamerica”, unico regista ad aver vinto per tre volte l’EFA, così come l’Italia (insieme con la Germania) è il Paese europeo ad aver vinto il maggior numero di EFA, ben sette, contro i cinque della Francia ed i quattro della Gran Bretagna (e, a seguire, tutti gli altri Paesi, la stragrande maggioranza dei quali non ne ha vinto alcuno). Nato a San Pietro Magisano (Catanzaro) nel 1945, lontano dal padre emigrato in Sudamerica, trascorre tante ore della propria adolescenza al cinema Politeama di Catanzaro. Dopo il liceo, nel 1965, si trasferisce a Roma. Inizialmente, è aiuto regista di De Seta e di Gregoretti. Poi, scrive alcune sceneggiature. Tra la seconda metà degli Anni Sessanta e la prima metà dei Settanta, è anche aiuto-regista in molti “caroselli”, alcuni dei quali tutt’oggi popolari. Gira spot pubblicitari e documentari industriali per la Fiat e l’Alitalia, occupandosi anche di servizi sportivi per conto della RAI. Nel 1970, nel pieno di questa lunga gavetta, firma la sua prima regìa con il mediometraggio “La fine del gioco”, con Luigi Valentino ed Ugo Gregoretti, un film inchiesta sulla vita nelle carceri minorili. “La città del sole”, del 1973, è il suo primo lungometraggio, prodotto da Fabrizio Lori e dalla RAI. Interpretato da Giulio Brogi, Daniele Sherrill ed Umberto Spadaro, la pellicola si occupa della vita di Tommaso Campanella, il domenicano filosofo del ‘600 che, condannato per eresia nel 1602, resterà ben ventisette anni in carcere. Il secondo lungometraggio è “La morte al lavoro”, del 1978. Tratto dal romanzo “Il ragno”, di Hans Ewers, il film è prodotto da Raidue. Si tratta di un giallo psicologico, irreale, affascinante. Interpretato da Federico Pacifici ed Eva Axen, il film si aggiudica premi ai Festival di Locarno e di Hyères. Il ritorno all’introspezione ed all’uso del “piano sequenza” avviene nel 1979, con “Il piccolo Archimede”, tratto dall’omonimo romanzo di Aldous Huxley, per la produzione di Raidue. Nel cast figurano John Steiner, Aldo Salvi e Laura Beni (miglior attrice al Festival di San Sebastian nel 1979). Ambientato nella Toscana degli Anni Trenta, narra la storia di un bambino prodigio.

“Colpire al cuore”, del 1982, racconta una storia che ruota intorno alla figura di un professore universitario alle prese con il difficile rapporto con il figlio quindicenne Emilio, e con alcuni suoi ex-studenti, uno dei quali, Sandro, è un terrorista che rimane ucciso dalla Polizia. Cast d’eccezione con Jean Louis Trintignant, Laura Morante, Vanni Corbellini. Buone le critiche apparse su Times e Cahiers du Cinéma. Dopo un lungo silenzio, Amelio gira “I ragazzi di Via Panisperna” (1988), co-prodotto da Urania Film e Raiuno. Interpretato da Andrea Prodan, Ennio Fantastichini, Laura Morante, Cristina Marsillach, il film è ambientato nell’istituto di Via Panisperna a Roma negli Anni Trenta. All’epoca dell’uscita del film nelle sale, Piero Spila (sul n. 19/90 di Cinecritica) scrive: “Un film che racconta la storia del rapporto umano e professionale fra Fermi e Majorana. Amelio, in realtà, propone come sempre un conflitto più grande e atavico, quello fra il dovere e l’essere, fra chi accetta le regole del gioco (Fermi) e chi invece si sottrae al gioco, semplicemente non giocando (Majorana)”.

Ma il grande successo internazionale arriva nel 1990 con “Porte aperte”, sceneggiato da Amelio e Cerami e tratto dall’omonimo libro di Leonardo Sciascia. L’interpretazione del personaggio protagonista è di Gian Maria Volontè. Ambientato a Palermo nel 1937, narra di un impiegato che appena licenziato uccide tre persone. Per l’opinione pubblica ed il regime è da condanna a morte. Non la pensa così il magistrato Vito Di Francesco (Volontè). Pioggia di premi per questa pellicola; citiamo solamente la candidatura all’Oscar 1991, l’European Film Award 1990 e quattro David di Donatello 1990.

Il regista calabrese non si lascia piegare le gambe da un simile successo. Ha la capacità di tornare ancora più grande con “Il ladro di bambini” (1992). È il trionfo. La critica mondiale è unanime. Anche il pubblico gli assegna un buon successo commerciale. Non è facile avere insieme il pubblico e la critica dalla propria parte. La pellicola si avvale dell’interpretazione di Enrico Lo Verso e dei giovanissimi Valentina Scalici e Giuseppe Ieracitano. È la storia di Rosetta, baby-prostituta, e di suo fratello Luciano, che devono essere condotti da Antonio, un giovane carabiniere, in un istituto per minori. Ne nasce un viaggio attraverso l’Italia ricco di umanità, dramma, amicizia ed al contempo solitudine. Anche qui tantissimi riconoscimenti: European Film Award 1992, ‘Gran Premio della Giuria’ al Festival di Cannes 1992, ben sei David di Donatello, quattro Nastri d’Argento, due Globi d’Oro, ed altro ancora. Bruce Reid su The Stranger (Seattle, 15.3.1993) scrive: “Se c’è un errore in questo film mi è sfuggito. La regia e la sceneggiatura di Amelio mostrano entrambe una vivacità di ingegno che potrebbe essere sottovalutata. Nessuna inquadratura vi sorprende, tutte si integrano tra di loro in un modo così semplice e riuscito come i pezzi del Lego”.

Ancora due anni, e siamo al 1994, ed il regista torna con “Lamerica”. Il film narra della drammatica situazione sociale albanese vista con gli occhi di due faccendieri italiani, Fiore (Michele Placido) e Gino (Enrico Lo Verso). Ancora una valanga di premi (tra i quali, tre David di Donatello e due Nastri d’Argento) e consensi all’estero. Un po’ meno in Italia, dove Amelio viene maltrattato al Festival di Venezia 1994 (solamente ‘Migliore sceneggiatura’) e, polemicamente, preferisce non presentarsi alla premiazione.

Quattro anni dopo è la volta di “Così ridevano” (1998), probabilmente il lavoro meno comprensibile. Ciò nonostante il film si aggiudica la vittoria del Leone d’Oro a Venezia, seppure tra le polemiche. Interpretato da Enrico Lo Verso, Francesco Giuffrida e Fabrizio Gifuni, il film è ambientato nei primi anni Sessanta a Torino, e racconta di Giovanni che arriva dal sud per ritrovare il fratello minore Pietro, che studia con profitto, almeno così egli crede. Difatti, la realtà è tutt’altra. Pietro neanche la frequenta la scuola; è solo un piccolo delinquente che si guadagna col malaffare il minimo indispensabile per vivere. Anche Giovanni finisce con il vivere in maniera cattiva. Film per niente facile, ben girato, parlato in dialetto stretto (tanto da rendersi necessari i sottotitoli per il nord Italia) è un’opera che spacca pubblico e critica.

Dopo una inusuale attesa di sei anni, il regista torna ancora a Venezia, dove si presenta in concorso con il film “Le chiavi di casa” (2004), tratto dal romanzo di Giuseppe Pontiggia “Nati due volte”. Il film, nonostante fosse considerato dalla critica come uno dei più autorevoli candidati al Leone d’Oro, non vince nessun premio. Pochi mesi dopo viene selezionato come candidato italiano agli Oscar per il ‘Miglior film straniero’, ma non riesce a rientrare nelle nomination. Si aggiudica, comunque, premi prestigiosi come il Nastro d’Argento per la ‘Miglior regia’. Questo film si avvale di attori quali Kim Rossi Stuart, Charlotte Rampling e l’efficacissimo giovane disabile Andrea Rossi. Il film narra del rapporto tra un padre ed un figlio disabile, dapprima rifiutato, poi riscoperto, compreso, accettato ed amato, seppur tra tante difficoltà e senza inutili fronzoli sentimentali, cui Amelio non cede mai.

Se in circa dieci anni il regista calabrese ci ha regalato soltanto “Così ridevano” e “Le chiavi di casa”, a meno di due anni da quest’ultimo film è arrivato “La stella che non c’è” (2006), è interpretato da Sergio Castellitto e Zing Thou. Dopo aver girato molto in tutte le regioni italiane, Amelio ambienta la sua nuova storia in Cina. Liberamente tratto dal romanzo di Ermanno Rea “La dismissione”, la storia racconta dell’odissea di un uomo, Vincenzo Buonavolontà, interpretato da Sergio Castellitto, in Cina per rintracciare un macchinario pericoloso. Tutto ha inizio quando una delegazione cinese arriva in Italia per rilevare un grande impianto da un’acciaieria in disarmo. Buonavolontà, specializzato nei controlli delle macchine, è convinto che l’altoforno in vendita non sia in buone condizioni e vuole ostinatamente trovare il guasto perché non succedano, com’è già accaduto, incidenti gravi agli operai che dovranno manovrarlo. Difatti, è rimasto molto colpito dalla morte (evitabile) di un operaio. L’uomo riesce finalmente a scoprire il difetto dell’impianto, ma oramai i cinesi sono già ripartiti con tutto il carico. Senza perdere tempo, Buonavolontà vola a Shanghai per consegnare di persona la centralina idraulica modificata che permetterà all’altoforno di funzionare perfettamente, senza più rischi per gli operai, ma l’azienda cinese che aveva comprato l’impianto lo ha già rivenduto ad altri; inizia un viaggio lungo la Cina moderna, una vera odissea, accompagnato da Liu Hua, una ragazza poco più che ventenne che studia italiano e si offre come guida volenterosa tanto quanto inesperta. A Venezia il film non viene accolto bene. “Un’accoglienza gelida, quella della platea degli addetti ai lavori al termine dell’anteprima del film di Amelio in corsa per il Leone d’Oro. (…) Se la Cina in bilico fra antico e moderno resta un pianeta misterioso, affascinante e confuso, il modo in cui il protagonista tenta di destreggiarvisi inciampa in qualche ingenuità di troppo. E il film, che pure non ambisce al realismo, ne risulta indebolito” (Roberto Bonzio, per l’Agenzia Reuters – 5 settembre 2006); “Nessun applauso, ma neppure fischi al termine della proiezione per la critica del film di Gianni Amelio, primo italiano in concorso alla 63esima edizione del cinema di Venezia, un viaggio nella Cina di oggi”. (Agenzia Agr – 5 settembre 2006).

Il grande successo internazionale di Amelio è – almeno temporaneamente – svanito, e non faranno eccezione i film successivi: “Il primo uomo” (2011), liberamente tratto da un racconto di Albert Camus. Per la prima volta, un film del regista calabrese non è di produzione italiana, ma francese, con il titolo originale “Le premiére homme”, e con un cast quasi tutto transalpino, composto da Jacques Gamblin, Nino Jouglet, Catherine Sola, Denis Podalidès, Maya Sansa, Nicolas Giraud; poi, “L’intrepido” (2013), in gara alla 70ma edizione della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, che è una sfida tutta incentrata su Antonio Albanese, protagonista unico ed assoluto del film, nei panni di Antonio Pane. Tutto lo script è incentrato su Albanese, ma il binomio Amelio-Albanese non funziona affatto.

Nel 2014 è la volta di un documentario, “Felice chi è diverso”, preceduto dall’inatteso outing di Amelio sulla propria omosessualità.

la tenerezzaE così si arriva a “La tenerezza” (2017), interpretato da Elio Germano (Fabio), Giovanna Mezzogiorno (Elena), Micaela Ramazzotti (Michela), Greta Scacchi (Aurora), Renato Carpentieri (Lorenzo), Arturo Muselli (Saverio), Giuseppe Zeno (Giulio), Maria Nazionale (Rossana), Salvatore Cantalupo (Satriano), Salvatore Sodano (infermiere). Il soggetto è firmato da Gianni Amelio, in collaborazione con Alberto Taraglio e Chiara Valerio, molto liberamente ispirato al romanzo “La tentazione di essere felici” di Lorenzo Maraone, ed è stato sviluppato in sceneggiatura da Gianni Amelio ed Alberto Taraglio. Prodotto da Pepito Produzione con Rai Cinema, il film è stato presentato al BIF&ST 2017 (tenutosi nei giorni scorsi) in anteprima mondiale, ed è – come detto – nelle sale cinematografiche italiane dal 24 aprile. Un film profondo, che tocca tematiche come quelle della famiglia, del rapporto genitori-figli, del matrimonio e del rapporto di coppia in generale, della solitudine ed altro ancora. Un ottimo cast fa da valore aggiunto ad un film che sembra proprio riportare Amelio ai fasti perduti da diversi anni. “La tenerezza” dovrebbe riservare al regista quelle soddisfazioni cui era abituato pochi decenni or sono. In breve, la sinossi del film. Un bel palazzo antico e freddo al centro di Napoli. Qui vive Lorenzo, che è stato avvocato ed è oggi in disgrazia dopo alcuni infortuni professionali. Vedovo, ha rotto i rapporti con i due figli e vive una triste solitudine. Per caso fa conoscenza con gli inquilini che abitano nell’appartamento contiguo al suo: madre, padre e due figli piccoli.

Quasi sempre, quando un film è ambientato a Napoli, si racconta e si mostra la variopinta periferia partenopea, mentre in questo caso l’ambientazione è nella Napoli borghese, nella quale i personaggi del film si parlano attraverso dialoghi sublimi per delicatezza ed intuizione, grazie ai dialoghi scritti da Amelio e Taraglio, ma senza dire mai fino in fondo ciò che pensano; ciò nonostante, ogni loro parola, ogni loro sguardo lascia intravvedere squarci di dolorosa verità, e fa trapelare quel desiderio di essere amati che è, appunto, voglia di tenerezza. Un film di genere drammatico con una luce sempre accesa in fondo al buio: la tenerezza. Il bisogno di tenerezza. La voglia di tenerezza. La necessità di tenerezza.

In conclusione, eccellente il cast, di altissimo valore (Elio Germano, Giovanna Mezzogiorno, Micaela Ramazzotti, con un Renato Carpentieri degno di premi importanti in qualità di ‘Miglior attore non protagonista, ed il gradito ritorno in Italia di Greta Scacchi), così come sono eccellenti lo script e la regia. Le prime critiche sono molto positive ed anche la risposta del pubblico è molto buona, tanto che “La tenerezza” è subito balzato al quinto posto al box office. Quindi, critica e pubblico che vanno d’accordo (cosa molto rara) nel decretare il successo del nuovo film di Gianni Amelio, reduce da diverse delusioni, dopo tanti trionfi internazionali.

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