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Nelle geometrie di Santacroce la sabbia diventa scultura

Forse, potendo, Michelangelo avrebbe risparmiato le montagne dalle ferite inferte per il marmo.

Santacroce-Scultore

Cinquecento anni dopo – per la sua sensibilità all’ambiente e il suo amore per la montagna – Dario Santacroce, scultore veneziano che vive a Larchant, vicino Parigi, ha scelto di abbandonare l’uso del marmo. Una scelta resa possibile dalla tecnologia 3D e dalla scoperta di nuovi materiali, che Santacroce utilizza ora per creare le sue opere, alcune visibili fino all’8 dicembre nella mostra ‘Le geometrie dell’arte’ a Palazzo Tagliaferro ad Andora, (anche sede del museo mineralogico Dabroi).
Una scelta esistenziale, per uno come lui, che ha scelto di partire dalle origini di questo mestiere: è andato a lavorare il marmo a Carrara, come ogni scultore che sceglie di farlo per la vita. Un passo deciso nella tradizione, lasciata alle spalle ma senza rinunciare alla ricerca di una forma ideale: l’ossessione abituale di chi lavora in una sorta di interminabile corpo a corpo con la materia. Una ‘battaglia’ condotta anche per mettere in pratica la declinazione (quasi infinita) delle sfere celesti di Platone, riferimento teorico principale della sua ricerca. Il percorso di Dario Santacroce è infatti radicato nella “teoria delle idee” del filosofo greco, in quelle forme pure che rappresentano la massima espressione dell’essere pensante poiché esprimono un astrazione.
“Ma innanzitutto – spiega lo scultore – sono partito dalla materia, per conoscerla, per imparare il mestiere. Perciò ho vissuto a Carrara, per vedere come si lavora nelle cave, come vengono tagliati i blocchi marmorei, come il duro lavoro trasforma le idee della mente in forme pure. Poi mi sono ribellato allo spreco, allo svuotamento e allo smembramento delle montagne, alle quantità enormi di materiale scartato. E mi son detto: forse c’è un modo più intelligente di fare questo lavoro. Perché se la scultura pone il problema dello spreco in piccolo, la vista delle montagne che sovrastano Carrara lo rende enorme. Addirittura pressante per me che sono un appassionato scalatore”.
Le opere in mostra ad Andora sono il risultato di una ricerca di nuovi materiali e tecnologie abbinata alla sua pratica artistica, un risultato raggiunto dopo aver esplorato la fresatura robotica, poi la stampa in tre dimensioni e infine lo stampo di fonderia. Tecniche che hanno evidenziato possibilità ma anche limiti (e sprechi e impatti ambientali, come nel caso delle plastiche e resine delle stampanti 3D, derivati del petrolio).
Infine molto di recente, con l’avvento della stampa 3D più evoluta è diventato possibile produrre un calco di sabbia (stampo di fonderia). Partendo da questa tecnica Dario ne ha sviluppata una nuova. La sabbia infatti era già comunemente utilizzata in fonderia. Questa tecnica, nota con il termine inglese di sandcast, si basa sulla costruzione di uno stampo di sabbia adesiva nel quale verrà poi colato il materiale da cui verrà ricavata la scultura. In base a questa tecnica lo stampo di sabbia adesiva viene poi rotto in modo da “liberare” la scultura. La nuova tecnica usa lo stesso principio ma a rovescio (in modo simile al negativo fotografico per chi è familiare con la tecnica fotografica prima della digitalizzazione). In pratica la stampante 3D riempie una scatola di granelli di sabbia adesivi e non-adesivi.
La forma della scultura emerge quando aprendo la scatola i granelli di sabbia non-aderenti scivolano via in modo che appaia la scultura composta dai granelli di sabbia adesivi. Anche in questo caso c’è uno scarto di materiale: ma si tratta solo di pochi granelli di sabbia che possono essere utilizzati per un’altra opera.

FONTE: AdnKronos

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