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Le cinematografie emergenti del bacino mediterraneo (Algeria)

Per molti anni, l’unico film che componesse il binomio Algeria-cinema, è stato un film completamente italiano...

5 – ALGERIA

Il primo uomo-in
Il primo uomo

Le ripetute problematiche in terra d’Algeria (inutile farne la storia dell’ultimo mezzo secolo, ma anche solo degli ultimi anni), non ha consentito al cinema di avere uno spazio che conducesse ad un numero almeno abbastanza ragguardevole di produzioni, tanto meno esportate all’estero. Questioni ben più serie hanno occupato e preoccupato gli algerini e gli stranieri che a quel paese hanno guardano e guardano.
Per molti anni, l’unico film che componesse il binomio Algeria-cinema, è stato un film completamente italiano, con la partecipazione di molte maestranze algerine e anche della supervisione produttiva di Yacef Saadi, e si tratta del grande capolavoro di Gillo (Gilberto) Pontecorvo, che ho avuto il piacere personale di conoscere nei suoi ultimi anni di vita, ed ovviamente sto parlando de “La battaglia di Algeri” (1966), Leone d’Oro a Venezia, Nastro d’Argento, e due nominations agli Oscar 1967, nelle categorie ‘miglior regia’ e ‘miglior sceneggiatura originale’. Ma trattandosi di un film italiano, pur con tutta la compartecipazione algerina di cui ho fatto cenno, ed ambientato tra Algeri e dintorni, dobbiamo partire – per quanto concerne il cinema algerino – nel 1975 con “Cronaca degli anni di brace” (tit. orig.: “Chronique des années de braise”), di Mohammes Lakhda-Hamina (attualmente 86enne), vincitore della Palma d’Oro a Cannes! Interpretato dall’allora notissimo Yorgo Voyagis (74enne), attore greco a lungo vissuto in Italia con la splendida show-girl ed attrice americana naturalizzata italiana, Nadia Cassini, dalla quale ha avuto la figlia Kassandra, e da Leila Shenna, François Maistre e dallo stesso regista; il film – della durata di tre ore esatte – nonostante il trionfo a Cannes, non è mai uscito in Italia, per cui mi è impossibile dirne anche solo la trama. Andava, però, menzionato nella già non ricca storia del cinema algerino, proprio perché ha conquistato la Palma d’Oro. Se esiste un titolo in italiano di questo film, per quanto si riesce a sapere, è solo perché è stata realizzata pochi anni dopo qualche copia in vhs, parrebbe in lingua originale sottotitolata in italiano. Ma è veramente difficile conoscerne altri particolari. Meritava, però, la menzione.
Si deve compiere un gran salto fino al 2003 per trovare un titolo importante e presente anche nelle sale italiane. Si tratta di “Rachida”, di Yamina Bachir Chouikh, co-produzione franco-algerina, della quale la regista ha curato anche soggetto, sceneggiatura e perfino il montaggio.
Interpretato da Ibtissem Djouadi (Rachida), Bahia Rachedi (Aicha), Hamid Remas (Hassen), Rachida Messaoui En (Zohra), Zaki Boulenafed (Khaled), Amel Choukh (la sposa), Azzedine Bougherra (Tahar), il film narra la storia, ambientata ad Algeri e dintorni, della giovane insegnante elementare Rachida, la quale – rifiutatasi di portare a scuola un pacco bomba – viene ferita da alcuni suoi ex allievi entrati nel terrorismo. Ricoverata in ospedale e salvatasi grazie ad una delicata operazione, Rachida viene condotta dalla madre Aisha, vedova, in una casa di campagna per potersi riposare e rimettersi in forze. Ma anche qui la tranquillità dura poco. La giovane donna è coraggiosa e il daffare proprio non manca, anche se è assai pericoloso. C’è un padre che ripudia la figlia violentata; un anziano che viene ucciso dopo aver espresso commenti ritenuti fuori luogo; posti di blocco rendono difficili gli spostamenti. Quando finalmente il paese può vivere una giornata di festa, per una cerimonia matrimoniale, alla quale tutti sono invitati, la festa viene funestata dallo scoppio di una bomba. Stavolta Rachida, per circostanze fortunate, si salva, ma capisce che la paura incombe sulla vita di ogni giorno. Allora la mattina seguente va a scuola e, tra le macerie dell’edificio, fa lezione ai pochi bambini presenti. Come se niente fosse successo. Nel disperato e coraggioso tentativo di ritorno alla normalità.
Altro film algerino degno di nota è “Indigènes” (titolo per il mercato internazionale “Days of Glory”), del 2006, di Rachid Bouchareb, che è riuscito ad ottenere una storica nomination agli Oscar nel 2007, come ‘miglior film straniero’. Come quasi sempre avviene, si tratta di una co-produzione franco-algerina, interpretata da Jamel Debbouze, Samy Naceri, Roschdy Zem, Sami Bouajila, Bernard Blancan.
Sinossi. Ambientato in Algeria, nel 1943. Al richiamo dell’arruolamento per liberare l’allora ‘patria’ francese dai tedeschi, risponde il giovane e povero Said (Jamel Debbouze, bravissimo in questo personaggio orgogliosamente umile), che parte lasciando sola la madre, addolorata. Insieme a lui, Abdelkader, Messaoud e Yassir e tanti altri ‘soldati indigeni’ cui l’esercito riserva un trattamento diverso rispetto ai commilitoni francesi. Ai soldati africani non è concesso lo stesso rancio, né le licenze, le promozioni o i ruoli di comando, che invece spettano esclusivamente ai francesi. Ma combattono come i loro compagni, muoiono come loro, soffrono come loro e alla fine con dignità e valore conquistano la stima ed il rispetto del sergente del battaglione. Combattimenti sanguinosi: Provenza, Vosges, Alsazia, anche Italia, ricostruiti con un realismo semplice ed espressivo, ben lontano dagli effetti hollywoodiani, si alternano alla vita da campo descritta attraverso i particolari legami psicologici ed affettivi che si instaurano fra i soldati.
Il regista francese-algerino Rachid Bouchareb racconta un episodio della storia trascurato dalla memoria collettiva per parlare dei suoi antenati, per trasmettere la grande umanità di un popolo. E lo fa con il respiro ampio di un cinema di guerra classico, profondo ed emozionante, privo di ogni retorica.
Abbiamo aperto con un film solo parzialmente algerino, ma italiano a tutti gli effetti, ricordando il capolavoro di Gillo Pontecorvo, e chiudiamo con un altro film italiano, con piccole compartecipazioni produttive franco-algerine, in assenza di film di particolare rilievo di completa produzione algerina o franco-algerina negli ultimi tre lustri scarsi, e si tratta de “Il primo uomo” (Italia, Francia, Algeria, 2012), diretto da Gianni Amelio, scritto dallo stesso Amelio sulla base di un racconto incompiuto di Albert Camus del 1960, ed interpretato da Jacques Gamblin (Jacques Cormery), Maya Sansa (Catherine Cormery), Denis Podalydes (Catherine Cormey), Nino Jouglet (maestro Bernard), Abdelkarim Benhbouccha (nonna), Hachemi Abdelmalek (Jacques bambino), Jean-Paul Bonnaire (Hamoud).
Ambientato all’inizio dell’estate del 1957, vede Jacques Cormery, famoso scrittore e studioso, tornare in Algeria nel pieno della guerra d’indipendenza. Dopo una movimentata conferenza all’università, Jacques torna a casa e ritrova l’anziana mamma. Da qui comincia a ripercorrere a ritroso la propria vita, partendo sempre da un punto fisso: la scomparsa del padre, quando lui aveva solo pochi mesi, morto al fronte nella Prima Guerra Mondiale. Nell’ansia mai sopita di ricostruire la figura paterna, Jacques fa domande, chiede informazioni, cerca di rimettere insieme i frammenti dell’infanzia in terra d’Africa. Così le vicende personali finiscono per intrecciarsi sempre di più con quelle di una realtà algerina in pieno fermento e dove ormai infuria la guerra.
Nato nei pressi di Algeri, nel 1913, il notissimo romanziere Albert Camus muore in Francia nel 1960, in un incidente d’auto insieme all’editore Michel Gallimard. Il romanzo “Il primo uomo”, al quale stava lavorando, resta perciò incompiuto. Viene pubblicato postumo solo nel 1994, per iniziativa della figlia. La vicenda del bambino, rimasto senza padre e affidato a mamma e nonna, ha fatto scattare molte suggestioni in Gianni Amelio. Il pluripremiato regista ha scritto un copione, nel quale ha visto riflessa la propria vicenda di ragazzo con un padre non perso ma lontanissimo (emigrato in Argentina) e la vita in zone geografiche a rischio (la sua Calabria in tempo di guerra).
Abbiamo ripercorso brevemente la non ricca storia cinematografica, ma con picchi importanti a Venezia, a Cannes, e perfino una presenza tra le nomination agli Oscar, dell’Algeria, ricca di co-produzioni franco-algerine, ma con tanta Italia, con Amelio mezzo secolo dopo il trionfo internazionale di Pontecorvo.

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