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Il Professor Giancarlo Isaia e le “Big Data”

Il Presidente dell'Accademia di Medicina: l'Italia è un paese di grandissime eccellenze scientifiche

Abbiamo intervistato il Presidente dell’Accademia di Medicina di Torino per conoscere meglio il suo percorso professionale oltre che per informarci sul recente convegno “I big data nelle neuroscienze transazionali” che si è tenuto in merito all’intelligenza artificiale il 18 febbraio 2022.

Laureato in Medicina e Chirurgia è specialista in Endocrinologia, Medicina Interna e Medicina Nucleare.
Professore Ordinario di Medicina Interna dal 2005 e direttore della SC Medicina-Malattie Metaboliche dell’osso dell’AOU San Giovanni Battista di Torino dal 1999 al 2008, dallo stesso anno diventa Direttore della SC Geriatria e Malattie Metaboliche dell’osso presso l’Azienda Ospedaliera Città della Salute e della Scienza di Torino e Direttore della Scuola di Specializzazione in Geriatria dell’Università di Torino.
Attualmente è Vice Presidente Nazionale della Società Italiana dell’Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro (SIOMMMS).

Quando nasce l’Accademia di Medicina e perché a Torino?
L’Accademia di Medicina venne fondata a Torino nella prima metà dell’ottocento, in un periodo in cui il concetto di scienza si stava affermando nella sua accezione più moderna, applicandosi anche alla medicina, e scaturì fondamentalmente dall’esigenza dei medici di quel tempo di aggiornarsi anche dopo il conseguimento della laurea: non vi erano infatti i congressi, i libri erano rari e costosi e pertanto la modalità più semplice per aggiornarsi era appunto quella di trovarsi periodicamente nella sede dell’Accademia, in via Po 18, in locali attigui a quelli dell’Università, per assistere a dotte conferenze da parte di professori universitari, per lo più clinici, che illustravano ai colleghi le novità in campo diagnostico e terapeutico. E’ probabile che l ventata di rinnovamento culturale, connesso al ruolo politico della Torino della prima metà del XIX secolo, abbia favorito la fondazione e lo sviluppo dell’Accademia di Medicina, anche se non mancarono difficoltà connesse al clima di sospetto e di diffidenza che circondava gli intellettuali dell’epoca: a tal proposito c’è da rilevare che Re Carlo Alberto nel 1834 autorizzò formalmente le riunioni dell’Accademia, si badi bene, a condizione che si svolgessero sempre in presenza di un funzionario di polizia…

Un’Accademia è…. e chi la frequenta alla fine dei corsi cosa diventa?
L’Accademia di Medicina di Torino è un’associazione di Medici, sottoposta al controllo del Ministero della Cultura, il cui Statuto, più volte rivisto negli anni, prevede da sempre varie categorie di Soci (Ordinari, Emeriti, Corrispondenti, Onorari) la principale delle quali (quella dei Soci Ordinari) ne prevede un numero limitato a 120: in questa categoria vi sono i più eminenti e autorevoli esponenti della medicina torinese e pertanto è considerato molto prestigioso esservi cooptati. Con l’andare del tempo e con l’affermarsi di altre forme di aggiornamento medico, il primitivo ruolo dell’Accademia andò via via perdendo la sua importanza e pertanto negli ultimi decenni si è trasformata in una sede dove venivano presentati dati scientifici di alto livello, ma estremamente specialistici, per lo più prodotti e presentati dai Soci, in una dimensione che divenne a poco a poco “autoreferenziale” e non sempre compresa dai Colleghi di altre specialità. Negli ultimi anni, abbiamo aperto a tutti l’accesso alle riunioni e abbiamo cercato di privilegiare argomenti di interesse molto generale (in allegato il programma del II trimestre del 2022 Link) trasmettendo gli incontri anche in diretta streaming e mantenendoli disponibili nel sito (www.accademiadimedicina.unito.it): abbiamo così potuto ottenere una notevole frequenza (100/150 persone ad incontro) anche da parte di medici non soci dell’Accademia ed anche di persone estranee all’ambiente medico. Organizziamo inoltre anche corsi di aggiornamento con erogazione di crediti ECM, prevalentemente on line, ai quali partecipano Colleghi di tutta Italia.

Sono più le donne o gli uomini e da quale regione provengono maggiormente per frequentarla? Avete anche stranieri e di che Paesi?
I Soci ordinari dell’Accademia sono in netta prevalenza di sesso maschile (102 su 120), anche se negli ultimi anni stiamo cercando di riequilibrare questa imbarazzante sproporzione, anche perché le donne medico sono sempre più numerose e devo dire in generale anche molto brave; inoltre, abbiamo 15 i soci (Onorari o Corrispondenti) operanti in altri paesi europei ed anche in America, la cui presenza nella vita associativa presenta tuttavia un carattere poco più che simbolico, anche se fra i soci onorari abbiamo avuto vari premi Nobel e, più recentemente, anche Piero Angela. Per quanto riguarda la frequenza in presenza, ovviamente è limitata a residenti a Torino o in Piemonte, mentre abbiamo moltissimi accessi on line da tutte le regioni italiane. Inoltre, la nostra biblioteca, una delle più fornite al mondo di libri antichi di medicina è stata digitalizzata ed è molto frequentata, con migliaia di contatti da ogni parte del mondo.

Recentemente si è tenuto un importante convegno “I big data nelle neuroscienze transazionali” di che cosa si tratta?
Il convegno sui big data nelle neuroscienze è stato molto seguito e ha affrontato un argomento come l’intelligenza artificiale che è di stretta e pressante attualità. L’intelligenza artificiale (IA) è definita come l’abilità di una macchina di mostrare capacità umane quali il ragionamento, l’apprendimento, la pianificazione e la creatività: essa permette ai sistemi di capire il proprio ambiente, di mettersi in relazione con quello che percepisce, di risolvere problemi e di agire verso un obiettivo specifico. I sistemi di IA sono capaci di adattare il proprio comportamento analizzando gli effetti delle azioni precedenti e lavorando in autonomia. Nella nostra riunione, la professoressa Barbara Di Camillo dell’Università di Padova, ha presentato le potenzialità ed i limiti di questo innovativo approccio che ha aperto un orizzonte sconfinato anche in campo medico, derivante dal fatto che, immagazzinando migliaia di dati su una determinata situazione clinica, è possibile, introducendo un caso clinico che necessita di una diagnosi o di cui si vuole sapere di più, avere delle indicazioni sulla strada più opportuna da percorrere. Deve essere comunque chiaro che l’intelligenza artificiale rappresenta un supporto tecnologico molto utile, ma che deve essere integrato dall’intervento del clinico che sappia gestire al meglio questa complessa problematica.

Quanto i dati e le informazioni sono utili per la nostra salute?
Sono convinto che per mantenerci in salute tutti dobbiamo ricevere informazioni sanitarie corrette e fornite da fonti accreditate, meglio se corredate con dati scientifici pubblicati su riviste peer-review e prodotti da ricercatori con un adeguato curriculum scientifico; purtroppo, e soprattutto nel periodo della pandemia, si è diffusa una miriade di fake news con un’estrema difficoltà per il cittadino di distinguere le informazioni utili da quelle fantasiose o anche interessate. Proprio per questo l’Accademia di Medicina da qualche tempo si é rivolta anche ad un pubblico generale, non soltanto più ai medici ed ha anche organizzato corsi per giornalisti e per insegnati delle scuole medie: devo dire che abbiamo riscontrato un notevole interesse da persone che seguono le nostre iniziative e che si dimostrano molto interessate ai temi della salute declinati in un contesto di prevenzione. Abbiamo anche organizzato con l’Accademia delle Scienze una serie di incontri sull’invecchiamento in salute che è stato seguito da centinaia di persone, desiderose di ottenere informazioni attendibili su come si sviluppano le malattie, quali ne siano i fattori di rischio e come si possa fare per scongiurarne l’evoluzione.

Qual è la malattia di questo secolo e quale sarà quella dei prossimi anni?
Credo che identificare una malattia come quella del secolo sia mediaticamente stimolante, ma scientificamente poco percorribile; in generale, ritengo che con un’aspettativa di vita (Numero teorico di anni di vita alla nascita) che è vertiginosamente aumentata negli ultimi anni, passando in Italia dai 58 anni del 1950 agli 82,4 di oggi, saranno sempre più prevalenti le malattie cronico degenerative: mi riferisco alle patologie che limitano maggiormente l’autosufficienza dell’anziano, in particolare a quelle del sistema nervoso centrale come l’Alzheimer o la demenza, ma anche a quelle del sistema muscolo scheletrico come l’osteoporosi o a quello cardiovascolare, che certamente la faranno da padrone nei prossimi anni

Chi è e qual è un “bravo medico”?
Un bravo medico non deve essere soltanto un medico aggiornato sulla letteratura scientifica ed in grado di interpretare correttamente i dati scientifici di cui viene a conoscenza, ma deve essere anche, e direi soprattutto, un professionista in grado di vedere il paziente nel suo insieme e nella sua complessità: considerando che gran parte dei pazienti sono anziani e con più patologie, abbiamo ottimi specialisti che sono in difficoltà quando i problemi del paziente esulano dalla loro stretta competenza. Ritengo sia molto meglio, e questo è un obiettivo che ho perseguito in tutta la mia carriera accademica, formare medici che accanto ad una cultura di base, siano molto attenti alla gestione complessiva del paziente in una visione olistica ed informata da empatia reciproca, che era già di Ippocrate e che credo vada ampiamente recuperata

L’Italia è un Paese all’avanguardia in medicina?
L’Italia è un paese con grandissime intelligenze scientifiche: purtroppo, il sistema sanitario, ed anche quello universitario, non tendono in generale a favorire lo sviluppo e l’affermazione di queste grandissime professionalità che invece all’estero trovano spesso un terreno più fertile e maggiori possibilità di affermarsi. In Italia abbiamo avuto esempi di persone la cui carriera è stata ostacolata da pregiudizi di vario genere e che quindi hanno ritenuto di emigrare per ottenere un giusto riconoscimento professionale. Occorre a mio avviso modificare radicalmente il sistema di reclutamento dei professori universitari sottraendolo ad una logica baronale, ancora purtroppo molto presente, attribuendo precise responsabilità ed eventualmente sanzioni a coloro i quali reclutino soggetti che poi non si siano dimostrati all’altezza del ruolo a cui sono stati chiamati.

Professore, un suo consiglio, cosa bisogna fare e come dobbiamo vivere per essere “sani”?
Da molti secoli filosofi e intellettuali si pongono la domanda di come sia possibile mantenersi sani e invecchiare in salute, nella consapevolezza che, con il passar del tempo, si verificano sostanziali modificazioni non solo nella funzione, ma anche nella morfologia del corpo e della mente. Nel I secolo a.c. Publio Terenzio Afro, con l’aforisma “Senectus ipsa est morbus”, identificò la vecchiaia con una malattia, mentre Cicerone, nel “De Senectute”, confutò questa affermazione, esaltando i vantaggi della vecchiaia, da lui definita non tanto un’involuzione, bensì un’evoluzione, non priva di vantaggi, delle capacità biologiche dell’individuo ed enfatizzando la capacità degli anziani di fornire un contributo positivo alla società in una posizione degna di rispetto e di considerazione. Nella sostanza, preso atto che tutti noi abbiamo ereditato un patrimonio genetico che condiziona la nostra salute e la probabilità di comparsa di stati morbosi, occorre precisare che numerosi studi hanno evidenziato come comportamenti e stili di vita virtuosi siano in grado di attenuarne l’evoluzione, come pure, al contrario, alcune situazioni come la sedentarietà, il fumo, l’alcolismo, un’alimentazione non corretta, siano in grado di favorire l’insorgenza di patologie invalidanti come l’obesità, il diabete mellito, l’ipertensione, l’osteoporosi, diversi tipi di tumori, malattie cardio-vascolari e la demenza. Ne consegue che è assolutamente necessario, fin dall’età giovanile, perseguire stili di vita (alimentazione, attività fisica, astensione dal fumo e dagli eccessi alcolici ecc) in grado di ridurre la frequenza e la gravità di queste patologie e di migliorare la qualità di vita nell’età più avanzata.

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