“Leopoli è una città che non si chiude, vive ma prepara la difesa. Sono qui da un mese, a guerra appena iniziata, e quella che si respira è una quotidianità sospesa, con negozi e uffici aperti, e statue nascoste o ‘corazzate’ per proteggerle dai bombardamenti. I check point sono appena fuori, a ogni chilometro, con militari, poliziotti e civili armati: è una città in assetto da guerra che però ha raccolto l’invito del suo sindaco a non fermarsi. Le scuole sono aperte, anche se all’interno ci sono i profughi (qui 300mila, nella città dell’ospitalità e dell’accoglienza): per gli studenti, anche quelli rifugiati qui, la didattica è a distanza. Non vediamo le macerie perché quando attaccano, ed è capitato anche in quest’area occidentale ai confini con l’Europa, hanno colpito basi militari e lì non fanno nemmeno entrare”. E’ il racconto che Giuseppe La Venia, inviato a Leopoli per il Tg1 insieme agli operatori Alessandro Cifariello e Umberto Colferai, fa all’Adnkronos a un mese dallo scoppio del conflitto.
“E’ un contesto diverso, la guerra qui arriva tramite i profughi, decine di migliaia ogni giorno che o restano o attraversano il confine, e tramite la militarizzazione costante, quella dei civili che si arruolano, che vanno in centri per imparare a usare un’arma. Addirittura il direttore d’orchestra del teatro di Leopoli – continua – la mattina si esercitava a sparare e il pomeriggio dirigeva l’orchestra in piazza, suonando l’inno europeo. ‘Sono un musicista, ci ha detto, e uso altri strumenti. Ma se il mio paese ha bisogno che usi il fucile lo imbraccerò’. Sono tutti uniti, pronti a difendere la città, come se aspettassero l’arrivo non lontano dei russi”.
“Oggi ci prepariamo a rientrare in Italia. Porto con me le immagini dei bambini malati oncologici ricoverati, che ogni volta che suonano le sirene vengono portati giù a braccia da medici e infermieri. In sotterranei, corsie improvvisate tra muffa e calcinacci, gli fanno la chemioterapia tre, quattro volte al giorno. Un medico – ricorda ancora La Venia – ci ha detto ‘devo salvargli la vita dal cancro, dalla leucemia, e poi devo salvargli la vita dai missili’. Ma anche quel crocevia di speranze e dolori che è la stazione di Leopoli. E la bellezza di questa città coperta, nascosta o portata nei bunker: le statue velate, come i pezzi pregiati del tesoro artistico della città, considerata patrimonio dell’umanità dall’Unesco: qualche settimana fa hanno staccato un Cristo del ‘600 e lo hanno portato in un luogo nascosto per paura di eventuali bombardamenti. Infine il continuo, insistente suonare delle sirene, la corsa nei bunker che sono ovunque, dove qualcuno ha perfino allestito delle sale giochi per arginare l’angoscia dei bambini. Vado via oggi, da una città che la guerra non la vede, ma la respira”.
(di Silvia Mancinelli)
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