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Moda ‘usa e getta’, in discarica 6 milioni di tonnellate di abiti ogni anno

(Adnkronos) - Dal 18 al 24 aprile torna la 'Fashion Revolution Week' per una moda pulita, sicura, equa, trasparente e responsabile. "Abbiamo uno scarto tessile utile per i prossimi 20 anni"

Costano poco, si usano una volta sola, quando va bene, per poi finire nel cassonetto dei rifiuti. Eā€™ la cultura dellā€™usa e getta che ha contagiato il settore moda che registra dati enormi sullo spreco: ogni anno in Europa 6 milioni di tonnellate di abiti finiscono in discarica, lā€™equivalente di 11,3 kg a persona, con il tessile che rappresenta il quarto produttore di emissioni di gas serra, dopo cibo, edile e trasporti. Il dato arriva dalla Commissione Europea che ha annunciato una vera e propria stretta per le aziende: entro il 2030 infatti, gli operatori della moda dovranno produrre vestiti piĆ¹ resistenti e riciclabili. Tutti i prodotti tessili immessi sul mercato Ue dovranno essere durevoli, riparabili e riciclabili, per gran parte costituiti da fibre riciclate e prive di sostanze pericolose. Senza dimenticare il rispetto dei diritti sociali.

Ma da dove arrivano questi 6 milioni di tonnellate di capi? “La maggior parte arriva dalla grande distribuzione del fashion, un modello di business legato allā€™utilizzo veloce o al non utilizzo. Si compra anche se non necessario perchĆ© il prezzo molto basso non fa pensare troppo al reale bisognoā€. Lo afferma allā€™Adnkronos, Gaia Segattini, ideatrice di Gaia Segattini Knotwear, brand di maglieria che fa della sostenibilitĆ  il suo core business utilizzando solo fili di giacenza o rigenerati.

E ad accendere i riflettori su una moda pulita, sicura, equa, trasparente e responsabile ci pensa la Fashion Revolution Week che anche questā€™anno torna dal 18 al 24 aprile offrendo unā€™occasione di confronto sul tema dello spreco e dellā€™economia circolare. ā€œEā€™ paradossale ā€“ continua Gaia – ma cā€™ĆØ proprio un tipo di business che funziona proprio sullā€™inquinamentoā€. Cā€™ĆØ quindi un problema nelle abitudini di consumo dei capi che ā€œhanno un ciclo di vita molto molto corto. Noi siamo pieni di prodotti nellā€™armadio che abbiamo utilizzato una sola volta o addirittura maiā€.

Uno spreco che, sottolinea Gaia, ā€œriguarda soprattutto i piĆ¹ giovani che con il fiorire dei social network, prima YouTube e ora Tik tok, comprano i vestiti anche solo per fare un video. Cā€™ĆØ una fusione dei tempi dove i ragazzi comprano anche solo per immagine e non per uscire con un capo nuovoā€. Ad avere un occhio piĆ¹ critico verso questo tipo di consumo, invece ci pensano le donne dai 30-35 anni che hanno giĆ  unā€™indipendenza economica. E allora cosa si puĆ² fare? ā€œPer prima cosa utilizzare quello che giĆ  cā€™ĆØ. Abbiamo tantissime materie prime che non vengono utilizzate in molti magazzini sia perchĆ© prodotte in eccesso sia perchĆ© molte aziende manifatturiere hanno chiuso. Attualmente abbiamo uno scarto tessile probabilmente utile per i prossimi 20 anniā€.

Lato consumatore, invece, aggiunge Gaia, ā€œbisogna allungare il ciclo di vita dei capi, usandoli spesso e bene. Un tipo di parametro che non viene mai utilizzato per quanto riguarda lā€™impatto della sostenibilitĆ  di un capo ĆØ lā€™utilizzo che invece ĆØ molto importanteā€. Con il suo brand Gaia promuove la sostenibilitĆ  a 360 gradi e un approccio piĆ¹ critico ai consumi. Un impegno che l’ha portata a volere chiudere lā€™ecommerce durante il Black Friday per sostituere gli sconti con dei video racconti sui social per far conoscere, pezzo per pezzo, persona per persona, tutti i valori e collaboratori dellā€™impresa.

Il potenziale del riuso e riciclo dei materiali ĆØ enorme e i dati del possibile impatto sullā€™occupazione parlano chiaro: secondo dati Ue, nascono 35 nuovi posti di lavoro ogni 1.000 tonnellate di tessile raccolto per riutilizzo o per vendita di seconda mano. ā€œSe le aziende comprendono che lavorare con filati e materiali di giacenza responsabilizza anche i consumatori possiamo dar vita ad una vera e propria rivoluzione green ā€“ conclude Gaia. Abbiamo anche un compito educativo, soprattuto nellā€™era digitale che ci permette di parlare direttamente al nostro pubblico. Responsabilizzare noi stessi vuol dire responsabilizzare un intero mercatoā€.

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