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Elezioni, Follini: “Enrico e Giorgia uniti da consapevolezza mai insieme”

(Adnkronos) - L'analisi di Marco Follini, contenuta nel suo Punto di vista

“Non sono Sandra e Raimondo, come maligna la critica. E neppure Ginger e Fred. Non governeranno mai assieme, Giorgia Meloni ed Enrico Letta. Eppure, a dispetto delle infinite differenze che li separano, cā€™ĆØ un filo sottile che li avvinghia. Non tanto da creare un nuovo consociativismo a cui si dichiarano alieni, lei e lui. Ma quanto basta a segnalare quelle minime affinitĆ  che danno senso, vigore e misura al dispiegarsi del conflitto politico ed elettorale.

Non ĆØ un caso che tutte le presentazioni di libri di questi ultimi tempi avvengano arruolando i due come guest stars. Infatti, essi guidano i due partiti piĆ¹ forti, stando almeno ai sondaggi. Sono due professionisti, detto in senso buono. Sono atlantici, tutti e due. Sono europeisti, anche se uno lo ĆØ al modo dellā€™Europa, lā€™altra pretende di esserlo a modo suo. Sono rampolli di due scuole politiche che risalgono molto indietro nel tempo. E infine, ultima tra le loro affinitĆ , avrebbero votato volentieri per Draghi al Quirinale -anche se nessuno dei due lo ha mai detto chiaro e tondo.

Insomma, i punti di contatto tra Giorgia ed Enrico sono molti. E forse quello che piĆ¹ li unisce ĆØ proprio la consapevolezza che non si troveranno mai, proprio mai, a dover convivere sotto lo stesso tetto di governo. A loro verrĆ  risparmiata questa fatica, e credo che entrambi lo apprezzino. Non fosse altro per lā€™estrema stanchezza che debbono provare, tutti e due, al pensiero dei loro vicini.

Non sono proprio comodissimi, infatti, quei vicini. Letta deve vedersela tutti i giorni con quel che resta del M5S e della leadership di Conte. Unā€™infinitĆ  di punture di spillo (e non solo spillo) verso il governo di cui fanno parte insieme. Unā€™estrema difficoltĆ  a mettere ordine nelle coalizioni locali sparse qua e lĆ  per la penisola. E una quantitĆ  di differenze su temi anche cruciali, a cominciare dalla politica estera. Meloni a sua volta ha quasi evitato fisicamente ogni contatto con Salvini e Berlusconi dal bis di Mattarella in poi. E quando infine si ĆØ rassegnata a vederli ha preso atto che non esiste argomento -dallā€™Ucraina di Zelensky alla Sicilia di Musumeci- su cui si registri davvero tra loro un briciolo di unitĆ  di vedute e di interessi.

CosƬ il vantaggio reciproco tra Giorgia ed Enrico sta appunto nel fatto che non si troveranno mai seduti attorno allo stesso tavolo in quel di Palazzo Chigi. E dunque eviteranno di sommare ai dissensi tra avversari, che non sono pochi, i dissensi (e i veleni) tra alleati, che sono anche di piĆ¹. Circostanza che li dispone forse a una qualche reciproca, sottintesa complicitĆ . Ma che per il sollievo di entrambi non va mai oltre.

Ora perĆ² questo vantaggio dovrebbe essere in qualche misura ripagato. Sottratti tutti e due al rischio di una coalizione comune dovrebbero piuttosto sobbarcarsi lā€™onere di una sorta di patto istituzionale. Dichiarare su quali basi si svolgerĆ  il loro antagonismo. Assicurarsi a vicenda un codice di comportamento comune, vincolante per entrambi a prescindere da chi dei due si troverĆ  al governo e chi allā€™opposizione. Si tratta insomma di ragionare a due teste su come procedere riguardo a tutte quelle materie (riforma costituzionale, legge elettorale, regole del gioco, e via dicendo) su cui le maggioranze che verranno, e le opposizioni che seguiranno, dovrebbero mettersi al riparo dalla tentazione delle reciproche forzature a cui abbiamo assistito fin qui.

Tutte cose che i due, Giorgia ed Enrico, probabilmente sottintendono. E forse, chissĆ , devono pure esserselo detto a vicenda. Ma una cosa ĆØ lā€™implicito, altra cosa sarebbe un pronunciamento solenne. I loro alleati, cā€™ĆØ da scommetterci, la prenderebbero male. Ma forse questa puĆ² essere una ragione in piĆ¹ per esplicitare quello che tutti hanno inteso. Dovessero combattersi con maggiore fair play e stipulare tra loro una sorta di nuovo codice repubblicano, o almeno tracciare un confine entro cui contendersi la guida del paese, non sarebbe una cattiva notizia”.

(di Marco Follini)

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