Serve un cambio di rotta immediato o ghiacciai come la Marmolada potrebbero sparire nel giro di pochi anni.
Il verdetto emesso da Legambiente ĆØ un duro colpo, ma non giunge certo come un fulmine a ciel sereno. Al contrario, certifica una situazione che gli esperti denunciano giĆ da anni. I ghiacciai alpini portano i segni evidenti dei danni irreversibili causati dai cambiamenti climatici: negli ultimi trentāanni hanno perso superficie e spessore e corrono il serio rischio di scomparire completamente nel prossimo futuro.
La terza edizione della campagna Carovana dei Ghiacciai, realizzata insieme al Comitato Glaciologico Italiano (CGI), dal 17 agosto al 3 settembre ĆØ tornata a monitorare lo stato di salute di sei ghiacciai collocati lungo lāintero arco alpino, dalla Valle DāAosta al Friuli-Venezia Giulia. Il bilancio finale di questo monitoraggio ĆØ purtroppo desolante.
Soffrono i ghiacciai del Monte Bianco: il Miage, il ghiacciaio āhimalayanoā della Valle DāAosta, in 14 anni ha perso circa 100 miliardi di litri dāacqua, pari a tre volte il volume dellāidroscalo di Milano, mentre il PrĆ© de Bar, dal 1990 ad oggi, ogni anno ha registrato in media un arretramento di 18 metri. Stessa sorte per il Monte Rosa, dove il Ghiacciaio di Indren in due anni ha fatto segnare un arretramento di 64 metri, di cui 40 solo nellāultimo anno. In Lombardia il Ghiacciaio dei Forni, secondo gigante italiano dopo lāAdamello, ha registrato nellāanno appena trascorso un arretramento di piĆ¹ di 40 metri, per un totale di circa 400 metri in dieci anni. La situazione ĆØ tragica anche per la Marmolada, sulle Dolomiti, che in un secolo ha perso oltre il 70% della sua superficie e piĆ¹ del 90% del suo volume: tra appena quindici anni potrebbe scomparire del tutto.
Lāunica eccezione osservata lungo tutto lāarco alpino si trova in Friuli-Venezia Giulia. Qui il Ghiacciaio Occidentale del Montasio rappresenta un esempio di ghiacciaio piccolo ma resistente: in un secolo ha perso il 75% del suo volume, con una riduzione di spessore pari a 40 metri, ma dal 2005 risulta stabilizzato, in controtendenza rispetto agli altri ghiacciai delle Alpi.
Ā«Quello che abbiamo osservato e i dati che abbiamo raccolto durante questo viaggio per monitorare lo stato di salute del nostro arco alpino ā afferma Marco Giardino, vicepresidente del Comitato Glaciologico Italiano ā ĆØ molto preoccupante, non solo dal punto di vista scientifico. Abbiamo messo i piedi sui ghiacciai, osservando i crepacci che aumentano, le fronti che arretrano, il loro ingrigimento e i crescenti rivoli dāacqua di fusione che scorrono sulla loro superficie. Abbiamo confrontato queste evidenze con fotografie e carte storiche. Ne abbiamo ricavato dati quantitativi indispensabili per interpretare gli effetti locali del riscaldamento climatico in atto e comprendere quali scenari futuri si attendono per lāambiente dāalta quota e quali saranno le conseguenze sul paesaggio e sulle risorse del nostro paeseĀ».
La preoccupante situazione dei nostri ghiacciai non ĆØ che lāennesimo campanello dāallarme che suona per spronarci a porre la crisi climatica al centro dellāagenda politica, appello che giunge con forza anche dai portavoce di Legambiente.
Ā«Il tempo del cambiamento ĆØ adesso o mai piĆ¹Ā» sostiene Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi dellāassociazione ambientalista, Ā«Abbiamo conosciuto i ghiacciai da vicino, ne abbiamo osservato la sofferenza. Dobbiamo raccogliere il loro grido: tanto noi cittadini, adottando stili di vita piĆ¹ sobri e sostenibili, quanto soprattutto i decisori politiciĀ». E Giorgio Zampetti, direttore nazionale di Legambiente, ammonisce Ā«I dati raccolti richiedono in maniera inequivocabile un cambio di rotta immediato. Il Paese smetta di inseguire lāemergenza. Occorre piuttosto accelerare nelle politiche di mitigazione, riducendo drasticamente lāutilizzo di fonti fossili, e attuare un concreto piano di adattamento al cambiamento climaticoĀ».