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La popolazione mondiale ha raggiunto gli 8 miliardi

Eravamo 7 miliardi nel 2011 e saremo 9 miliardi nel 2037. Purtroppo per il nostro Pianeta non è una buona notizia.

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Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Secondo le stime dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, il 15 novembre la popolazione mondiale ha raggiunto l’imponente cifra di 8 miliardi, un miliardo in più rispetto al 2011. In appena undici anni l’incremento è stato pari a quello avvenuto nei primi 300mila anni della storia umana, dalla comparsa dell’Homo sapiens ai primi anni dell’Ottocento. Una cifra destinata ad aumentare ancora, sebbene ad un ritmo meno sostenuto. L’ultimo rapporto delle Nazioni Unite prevede infatti che le persone sulla Terra raggiungeranno gli 8,5 miliardi nel 2030 e supereranno i 9 miliardi nel 2037. Il picco è previsto per il 2080, quando conteranno circa 10,4 miliardi di individui sul Pianeta, una cifra che dovrebbe rimanere stabile fino al 2100.

Questa impressionante crescita demografica è dovuta al graduale aumento della durata della vita umana, soprattutto nelle aree più avanzate del Pianeta, a sua volta frutto dei continui progressi nel campo della medicina, dei sistemi igienico-sanitari e dell’alimentazione. A ciò si sommano gli elevati tassi di fecondità che ancora si registrano nei Paesi a più basso reddito pro-capite, specialmente in Africa sub-sahariana e in Asia, in grado di più che compensare il calo demografico che si è osservato negli ultimi decenni nei Paesi più ricchi, in particolare in Europa e in Nord America. Più della metà della crescita prevista da qui al 2050 dovrebbe essere concentrata in appena otto Paesi: Repubblica democratica del Congo, Nigeria, Etiopia, Tanzania, Egitto, India, Pakistan e Filippine.

Per il nostro Pianeta questi dati non rappresentano una buona notizia, perché l’aumento della popolazione mondiale è destinato a tradursi in un più elevato tasso di sfruttamento delle risorse naturali a nostra disposizione, già duramente compromesse dai modelli di produzione e consumo adottati a seguito della rivoluzione industriale. Mentre la popolazione mondiale è più che raddoppiata tra il 1970 e il 2020, la fauna selvatica è diminuita di due terzi e milioni di ettari di foresta sono andati perduti in tutto il mondo.

Aumentare ulteriormente la pressione su ecosistemi già infragiliti rischia di avere gravi ripercussioni sul raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030, soprattutto per ciò che riguarda la riduzione delle disuguaglianze e l’incremento della sicurezza alimentare. Una maggiore competizione per l’accaparramento delle risorse naturali, sommata agli effetti del cambiamento climatico, rischia inoltre di generare nuovi conflitti e flussi migratori.

Senza voler minimizzare i rischi legati a questo trend demografico, è comunque opportuno sottolineare che si tratta di previsioni molto variabili, già oggetto di revisioni al ribasso da parte degli esperti ONU: fino a qualche anno fa si prevedeva che nel 2100 la popolazione mondiale avrebbe toccato gli 11 miliardi, mentre l’ultimo report, pubblicato a luglio di quest’anno, ha ridotto la cifra a 10,4 miliardi. Ciò significa che i progressi in alcuni campi possono rallentare la crescita demografica, rendendola più sostenibile nel lungo periodo. Si pensi ad esempio all’istruzione femminile, uno dei fattori considerato cruciale dagli esperti per stimolare una riduzione dei tassi di natalità nei Paesi più poveri e prolifici del mondo.

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