Le nevicate delle ultime settimane rischiano di non essere sufficienti a colmare il deficit.
Le temperature miti e le scarse nevicate hanno causato un forte deficit dello stock idrico nivale, ossia della riserva d’acqua presente sotto forma di neve: un problema non solo per il turismo invernale, di cui molto si è parlato al telegiornale, soprattutto durante le feste di Natale, ma anche per l’agricoltura, esposta al rischio di una nuova ondata di siccità in primavera e in estate. A dirlo è la Fondazione CIMA, Centro Internazionale in Monitoraggio Ambientale, un ente di ricerca senza scopo di lucro che si occupa di mitigazione dei rischi idrometeorologici, tutela degli ecosistemi e protezione della biodiversità.
Per il secondo anno consecutivo, i ricercatori sono preoccupati dalla scarsità di precipitazioni nevose registrate nella prima fase dell’inverno e dalle temperature ben oltre la media stagionale, a causa delle quali la poca neve presente ha già iniziato a fondere a metà dicembre. Sulle Alpi, i ghiacciai e i nevai funzionano da “serbatoi” per l’acqua che alimenta il bacino del Po, accumulandola con le nevicate invernali e rilasciandola durante la fusione primaverile, quando è maggiormente necessaria per le coltivazioni della Pianura Padana. Poco accumulo di neve implica quindi il serio rischio di una grave carenza d’acqua nei prossimi mesi.
All’inizio del 2023, su scala nazionale, lo stock idrico nivale era di circa il 69% in meno rispetto agli ultimi undici anni; addirittura il 29% in meno rispetto al 2022, anno che pure aveva già fatto registrare un deficit storico. Questa situazione riguarda non solo l’arco alpino ma anche, e in misura ancora maggiore, gli Appennini. Nelle Marche, in Abruzzo e in Molise all’inizio di gennaio si osservava un decremento dello stock idrico nivale rispettivamente del 97%, 84% e 92% rispetto alla media degli ultimi undici anni. Complessivamente, i ricercatori della Fondazione CIMA hanno calcolato un deficit di circa 4 miliardi di metri cubi d’acqua, l’equivalente del 16% del Lago Maggiore.
Nelle ultime settimane è finalmente arrivato qualche segnale positivo, grazie alle nevicate che hanno interessato un po’ tutto il territorio italiano, dalle Alpi agli Appennini. Alcune regioni, in particolare Abruzzo, Toscana ed Emilia-Romagna, hanno registrato precipitazioni nevose più abbondanti rispetto alla media del periodo degli ultimi undici anni.
Complice l’abbassamento delle temperature, la neve ha smesso di fondere e ha iniziato ad accumularsi. Questo ha permesso di colmare il deficit accumulato su scala nazionale nei primi mesi dell’inverno, ma solo in piccola parte. Affinché la tendenza si inverta e lo stock idrico nivale torni a livelli rassicuranti è necessario che il freddo e le precipitazioni nevose perdurino nel tempo. Secondo i ricercatori della Fondazione CIMA, infatti, l’accumulo di neve in inverno deve essere visto più come una maratona che come una gara di velocità: la neve deve aver modo di accumularsi progressivamente nel corso dei mesi e difficilmente poche nevicate intense possono rivelarsi sufficienti.
Per il secondo anno consecutivo, in conclusione, il nostro Paese si trova nuovamente esposto ai rischi connessi alla siccità, fenomeno che rischia purtroppo di diventare sempre più frequente. Il problema alla radice è sempre lo stesso: sono i cambiamenti climatici ad impattare in maniera inesorabile e sempre più significativa sui fenomeni atmosferici, alterando – tra le altre cose – anche il regime di precipitazione.