Fiction con Giuseppe Battiston, su Rai 2 da mercoledì 30 ottobre per sei settimane.
Arriva su Rai 2 la nuova fiction “Stucky”, alias Giuseppe Battiston (Giuseppe Stucky), affiancato da Barbora Bobulova (Marina Simkova), Diego Ribon (Secondo), Alessio Praticò (Fabio Guerra), Laura Cravedi (Ilaria Landrulli), con la regia di Valerio Attanasio. Serie liberamente ispirata ai romanzi di Fulvio Ervas editi da Marcos y Marcos, scritta per il piccolo schermo da Valerio Attanasio, Matteo Visconti e Marco Pettenello. Una co-produzione Rai Fiction, Rosamont e Rai.Com. Sei episodi da un’ora l’uno dal 30 ottobre su Rai 2, con il primo episodio in anteprima oggi, lunedì 28, su Rai Play.
La serie è stata presentata a noi della stampa stamane, con tutte le difficoltà ed alcune assenze dovute allo sciopero di bus e metro, ed ha visto Giuseppe Battiston ampiamente protagonista, lui che durante la conferenza stessa si è definito uno che parla poco e malvolentieri, ma che quando prende a parlare non la smette più, e così è stato oggi, ma sempre in maniera simpatica, intelligente, concedendosi fino a spiegare molteplici aspetti sin dall’acquisizione dei diritti dei romanzi per la riduzione televisiva.
Difatti, come sinteticamente già accennato, la serie è liberamente ispirata ai romanzi di Fulvio Ervas, la serie “Stucky” esplora il cuore inquieto della provincia italiana. Origini persiane, temperamento flemmatico e sornione, l’ispettore Stucky è in forza alla Questura di Treviso e si muove a proprio agio nelle pieghe oscure del nord-est italico, tra vecchi centri storici, periferie postmoderne e campagne sonnolente, affrontando casi in cui lo studio di un delitto non è solo disvelamento razionale dell’enigma, ma anche e soprattutto un pretesto per osservare ed indagare la condizione umana. Suoi compagni di viaggio, il medico legale Marina, con cui Stucky ha un rapporto di intensa ed un po’ maldestra intimità, l’oste Secondo, consigliere e mentore, e i due poliziotti a lui assegnati, Guerra e Landrulli, che hanno imparato ad amarlo, ma non ancora a capirlo.
Il personaggio di Giuseppe Stucky, ispettore capo della Polizia in forza alla Questura di Treviso, è sui generis: apparentemente compassato e solitario, odia la vista dei cadaveri, non ama la tecnologia ed organizza le indagini a modo suo, servendosi di tanti foglietti fitti di appunti che si diverte a disporre su un tavolo come tasselli di un puzzle per mappare l’animo di chi incontra e porsi le domande giuste, fino a ricomporre la vicenda che lo porta alla soluzione del caso. Stucky non ama lavorare nel suo ufficio, ma preferisce formulare le sue ipotesi ed i suoi ragionamenti passeggiando per Treviso o seduto davanti ad un buon bicchiere di vino nell’osteria del suo amico Secondo.
Chiudiamo con alcune tra le dichiarazioni del regista, Valerio Attanasio, che aiuteranno a comprendere molto di più: “Quando mi hanno chiesto di immaginare un adattamento televisivo dei gialli di Fulvio Ervas, ho pensato istintivamente che le trame contenute nei romanzi sarebbero state troppo dense per essere trasposte in puntate di 60 minuti. Inoltre, volevo trovare una chiave originale che si distaccasse nettamente dal film realizzato qualche anno fa tratto da uno dei libri della serie. Così mi sono preso la libertà di prendere il protagonista, l’ispettore Stucky, e di modificarlo un po’ nei suoi tratti caratteriali ed estetici. Mi piaceva l’idea di raccontare un poliziotto talmente ossessionato dal proprio lavoro, e dagli assassini che insegue, da non trovare il tempo di portare avanti la propria vita privata. Pur essendo una persona con inaspettati slanci di empatia e tenerezza – questo è un aspetto che ho rubato a quel grande attore che è Battiston – Stucky di relazioni personali non sembra averne, tanto che non ha una compagna né figli. Ha un solo amico, Secondo, proprietario di un’osteria in cui si rifugia spesso. Altro di questo solitario ispettore non sappiamo, se non che non sopporta la vista del sangue, non porta la pistola, non guida la macchina, non possiede uno smartphone, indossa sempre un trench piuttosto liso, legge Kafka ed è nato in Iran, a Tabriz, da madre persiana, anche se per parte di padre proviene da antenati svizzeri trasferitisi nell’Ottocento a Venezia. Stucky l’ho immaginato, vestito e inquadrato, come una specie di antieroe mitteleuropeo fuori tempo massimo, un personaggio antico e contemporaneo allo stesso tempo che, con il suo sigaro in bocca, solca le vie e i canali del centro storico di Treviso alla ricerca ossessiva dei suoi assassini, perennemente in bilico tra il senso di giustizia verso la vittima e la curiosità per l’infinita varietà della Commedia Umana, per dirla alla Balzac. E per innalzare il livello della sfida tra il protagonista e l’antagonista, anche le trame dei sei gialli si sono via via andate a formare attorno a dei casi di omicidio in cui gli assassini fossero persone ricche e potenti, talvolta anche arroganti. Stucky invece è un semplice ispettore di provincia che per indole personale non farà mai carriera. Troppo discreto e allergico alle dinamiche del carrierismo, porta avanti il proprio lavoro in solitaria, con la costanza e la tigna del bravo artigiano. È questo suo aspetto che ci ha fatto venire in mente il Tenente Colombo, una serie che da adolescente ho amato e che ci è tornata utile come modello strutturale. Anche in Stucky, come in Colombo, a differenza dei gialli classici, la rivelazione al pubblico dell’assassino avviene nei primi minuti. Ci è sembrato il modo migliore per concentrare l’attenzione sugli aspetti più psicologici di un omicidio, omettendo completamente la parte procedurale dell’indagine o le scene d’azione. Ecco perché non vediamo mai Stucky nel suo ufficio in Questura, così come non lo vediamo mai impugnare una pistola. Il metodo investigativo di Stucky è interamente basato sullo studio delle psicologie umane, si basa sul dialogo, sulla parola, sui colloqui con i diversi personaggi legati in vario modo con la vittima, tra cui chiaramente si nasconde sempre anche l’assassino. E quando l’ispettore punta il presunto assassino non gli dà scampo, lo tampina ovunque, che sia a casa, al lavoro o al circolo del tennis, alla ricerca di quel piccolo errore che tutti commettono. E alla fine lo incastra sempre.”