In linea con l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e il Green Deal europeo, la rivoluzione verde è uno degli obiettivi fondamentali del Recovery Plan. Per raggiungere tale traguardo, si sottolinea l’importanza di implementare il paradigma dell’economia circolare, valorizzando il ciclo integrato dei rifiuti. Da un lato, rendere performante la filiera del riciclo; dall’altro, incentivare la conversione dei processi industriali verso modelli di produzione circolare, basati sull’impiego di materie prime riciclate. Eppure, gli operatori del settore si sono mostrati molto critici rispetto alla possibilità di raggiungere in concreto tali obiettivi.
Abbiamo chiesto a Paolo Barberi, Presidente di FISE Unicircular, di approfondire i nodi più problematici inerenti alla gestione dei rifiuti in Italia, considerando anche l’impatto della pandemia Covid-19, e di spiegarci meglio quali criticità emergono dalla lettura dell’ultima versione del Recovery Plan.
- Iniziamo ad inquadrare il problema del riciclo dei rifiuti in Italia. Quali sono le maggiori criticità?
Il settore della gestione dei rifiuti soffre forse più di altri di lentezze e complessità amministrative. È indispensabile una netta velocizzazione, digitalizzazione finalizzata alla semplificazione e snellimento degli adempimenti, delle procedure autorizzative e dei relativi controlli, per far sì che queste siano concluse nei tempi previsti, soprattutto ove si riscontri nei territori interessati l’assenza o l’insufficienza degli impianti che sarebbero necessari. Occorre, in parole povere, un approccio differente al rapporto imprese-pubblica amministrazione; purtroppo, su questo punto il decreto cosiddetto “Semplificazioni” ha lasciato immutate le criticità presenti. Al contempo, per realizzare una vera transizione all’economia circolare è necessario accompagnare gli sforzi delle imprese, mirati ad una maggiore qualità, anche ambientale, dei propri processi e prodotti con incentivi e misure che aiutino a recuperare e colmare il differenziale di costi economici, per le stesse imprese, rispetto a modelli di produzione e consumo più tipicamente lineari.
- Vorrei approfondire la questione dell’esportazione dei rifiuti. Quali sono gli aspetti negativi di questa pratica? Viceversa, quali potrebbero essere i benefici di un’inversione di tendenza?
Per quanto riguarda i rifiuti urbani, l’esportazione ha interessato quasi 465 mila tonnellate nel 2018, a fronte delle precedenti 355 mila tonnellate, per un incremento del 31%. Per quanto afferisce ai rifiuti speciali, questi ammontano a poco meno di 3,5 milioni di tonnellate nel 2018, rispetto a quasi 3,1 milioni di tonnellate nel 2017, per una crescita di circa il 14%. Consistente rimane anche la movimentazione infra-regionale, a causa dei forti differenziali di autosufficienza impiantistica delle diverse regioni, soprattutto per i rifiuti organici (che ricomprende 1,7 milioni di tonnellate).
Il graduale aumento delle esportazioni riflette la mancanza di interventi a favore dell’efficientamento della gestione dei rifiuti prodotti in Italia: i dati evidenziano che il ricorso all’export riguarda rifiuti difficilmente recuperabili sul territorio nazionale oppure quelli per i quali mancano impianti di smaltimento. Pertanto, il ricorso all’export dei rifiuti risulta fondamentale per garantire l’operabilità delle imprese, che in questo modo riescono a trovare un elemento imprescindibile per poter chiudere il ciclo. Una riduzione dell’export incrementerebbe senza dubbio i quantitativi di materie seconde generate (delle quantità esportate il 70% è destinato a recupero di materia e l’11% a recupero di energia) nonché il volume d’affari complessivo del settore, ma ciò sarebbe possibile solamente consentendo e favorendo gli investimenti necessari ad un adeguamento dell’infrastruttura impiantistica.
Gli aspetti negativi del ricorso all’export, nel caso di operazioni in linea con le attuali disposizioni normative, sono economici, in quanto comportano costi maggiori per le imprese che vi ricorrono (al confronto con modalità di gestione svolte sul territorio nazionale) oltre alla perdita di potenziali materie prime seconde da reintrodurre nel ciclo produttivo, e ambientali, in quanto l’equazione “più trasporti e più inquini” è semplice e indiscutibile. Diversamente, nel caso di operazioni di export illegali, non vanno sottovalutati gli impatti ambientali e sulla salute umana.
- Per quanto concerne invece il mercato delle materie prime riciclate, quali sono gli ostacoli ad una sua espansione? È possibile stimare il differenziale di costo tra produzioni “circolari” e produzioni “lineari”?
Gli ostacoli al mercato delle materie prime riciclate sono in primo luogo normativi, per le difficoltà legate alla gestione dei rifiuti e la scarsa chiarezza circa l’ottenimento dello status di fine rifiuto, e poi culturali, per la resistenza dimostrata dagli utilizzatori finali all’impiego di materie ottenute da rifiuti. Per quei settori in cui l’impiego di materie prime secondarie è ormai storico e consolidato (ferro, alluminio, vetro, ecc.) e per cui esistono strumenti normativi in grado di garantire uniformità di interpretazione (regolamenti europei End of Waste), il mercato sembra funzionare bene e segue l’andamento delle materie prime vergini. Al contrario, altri settori (plastica, inerti, gomma) mostrano un mercato delle materie prime secondarie molto meno stabile e più variabile, dove i prezzi devono mantenersi necessariamente bassi per poter competere con le materie prime vergini. Nel caso degli aggregati riciclati il prezzo di vendita, per la maggior parte dei prodotti, è estremamente basso e in alcuni casi vicino allo zero e, da solo, non consente la sostenibilità economica delle operazioni di trattamento. Simile considerazione può essere fatta per il granulo in gomma ottenuto dal trattamento dei PFU (Pneumatici Fuori Uso), che solitamente si attesta su costi 5 o 10 volte inferiori rispetto alla gomma vergine (a seconda che sia sintetica o naturale). Pertanto, sarebbero auspicabili degli interventi normativi a supporto di queste filiere, al fine di creare dei mercati stabili delle materie prime secondarie, in grado di favorire gli investimenti delle imprese private e migliorare così anche la qualità dei materiali ottenuti e dei processi. Tra le misure di supporto si evidenzia ad esempio la piena attuazione del GPP (Green Public Procurement), l’applicazione di un’IVA agevolata per i materiali da riciclo, la concessione di un credito di imposta per chi acquista e utilizza prodotti derivanti dal riciclo dei rifiuti e la previsione di un contenuto minimo di materiale riciclato nella produzione di nuovi beni, seguendo la strada tracciata dall’Europa con la direttiva sulle plastiche monouso (Direttiva UE 2019/904) che fissa una percentuale minima di PET riciclato per la produzione di nuovi contenitori per bevande.
- Il 10 dicembre scorso FISE Unicircular ha presentato l’undicesima edizione del Rapporto annuale “L’Italia del riciclo”, realizzato insieme alla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile. In base alle evidenze di questo studio, qual è stato l’impatto della pandemia Covid-19 sul riciclo dei rifiuti?
La pandemia ha impattato duramente anche sul settore della gestione rifiuti, il quale ha mostrato resilienza, evitando situazioni emergenziali, assorbendo le criticità e garantendo le diverse fasi di raccolta, trattamento e riciclo. Tra marzo e maggio si sono registrate riduzioni significative delle raccolte differenziate, superiori al 20% rispetto allo stesso periodo del 2019; tra giugno e agosto la quota che ha registrato un calo della raccolta differenziata è scesa sotto il 50% e la contrazione si è ridotta al 10-20% rispetto al 2019.
L’andamento delle raccolte delle singole filiere nel 2020 ha mostrato trend diversificati. Sommando i dati dei primi 4 mesi del 2020, compresi circa due mesi di lockdown, si è registrato, rispetto allo stesso periodo del 2019, un incremento di oltre il 7% della raccolta differenziata dei rifiuti d’imballaggi domestici, anche per l’aumento del commercio on-line, con una crescita del 5%-6% per quelli in vetro e in plastica e del 10% per quelli in carta e acciaio, mentre sono risultati stabili quelli in alluminio. Riduzioni importanti, superiori al 10%, hanno subito tutte le filiere collegate ai conferimenti presso le isole ecologiche (RAEE e imballaggi in legno) e quelle legate alle attività industriali e commerciali che hanno dovuto interrompere la loro attività o visto una riduzione delle importazioni (solventi, oli minerali usati, pneumatici fuori uso, oli e grassi animali e vegetali esausti). Durante il lockdown anche il rifiuto organico è diminuito di circa il 15%: l’aumento del rifiuto domestico è stato controbilanciato dalla diminuzione di quello derivante da utenze collettive (mense, ristoranti, pubblici esercizi). Equilibrio che si è ristabilito a partire da maggio-giugno con la ripresa di tutte le attività produttive, commerciali, turistiche. Nel periodo giugno-agosto 2020 tutte le raccolte differenziate sono tornate a crescere grazie alla riapertura delle attività. Con l’arrivo della seconda ondata di Covid-19, a settembre si sono prodotti effetti sulla gestione dei rifiuti che risulterebbero simili a quelli della prima ondata.
- L’ultima versione del Recovery Plan riconosce l’importanza di implementare l’economia circolare e, a tal fine, individua tra gli obiettivi la valorizzazione del ciclo integrato dei rifiuti. Tuttavia, voi di FISE Unicircular e FISE Assoambiente avete evidenziato diverse criticità. Iniziamo parlando delle risorse previste: perché non giudicate adeguato lo stanziamento di 1,5 miliardi di euro per la realizzazione di nuovi impianti e l’ammodernamento di quelli esistenti?
Il Piano destina alla realizzazione di nuovi impianti e ammodernamento degli impianti esistenti per il riciclo risorse limitate e non individua concreti strumenti economici per l’industrializzazione del settore della gestione dei rifiuti. Complessivamente, il Piano si limita ad una serie di interventi estemporanei, non coordinati e privi di un chiaro disegno di stimolo, accompagnamento e supporto alla transizione verso modelli di produzione, distribuzione e consumo “circolari”. Siamo ben lontani dai 10 miliardi di euro di investimenti necessari solo per sanare il gap impiantistico del nostro Paese, che ci obbliga ogni giorno ad esportare decine di migliaia di tonnellate di rifiuti che potremmo trasformare a livello nazionale in materia riciclata ed energia. Nel Piano, inoltre, manca il riferimento ad una seria programmazione della gestione dei rifiuti, con l’individuazione delle tipologie impiantistiche necessarie e dei progetti da realizzare, se si esclude un vago richiamo ad una futura possibile Strategia nazionale sull’economia circolare. La bozza è priva di una precisa visione industriale del settore e di ogni indicazione degli strumenti economici da introdurre per rafforzare il mercato del riciclo e del riutilizzo; anche il quadro delle riforme di accompagnamento al capitolo economia circolare appare decisamente debole.
- Ulteriori 2,2 miliardi di euro vengono previsti per «progetti a bando di economia circolare destinati alla riconversione dei processi industriali», volti a stimolare la sostituzione di materie prime non rinnovabili con prodotti derivanti da scarti, residui e rifiuti. Tuttavia, nulla viene specificato circa il contenuto concreto di tali iniziative, rimandando ad una Strategia nazionale per l’economia circolare ancora da definire. Vi preoccupa questa indeterminatezza?
La modalità “a bando” per i progetti di riconversione industriale in chiave circolare, individuata nell’ambito della componente «Economia circolare e valorizzazione del ciclo integrato dei rifiuti», non appare convincente in quanto potrà interessare solo un numero limitato di progetti. Inoltre, non sono stati definiti indirizzi o criteri per la selezione delle proposte progettuali oggetto di bando. Questa indeterminatezza non giova all’efficacia dell’intervento, per cui si ritiene che la misura proposta non sia centrata rispetto all’obiettivo che si prefigge («ridurre l’utilizzo di materie prime di cui il Paese è carente nei processi industriali, sostituendole progressivamente con materiali prodotti da scarti, residui, rifiuti»).
- Avete suggerito tre misure concrete da attuare nell’immediato per favorire la transizione verso l’economia circolare. Ce ne parla in maniera più approfondita?
Affinché l’economia circolare non rimanga soltanto un titolo accattivante, ma vuoto di contenuti, è necessario prevedere strumenti che incentivino il mercato, le imprese e i prodotti “circolari” riducendo il differenziale di costi e di prezzi rispetto alle produzioni “lineari” (materie prime vergini).
Abbiamo sottoposto in particolare a Governo e Parlamento tre proposte da applicare nell’immediato per tradurre l’economia circolare in risultati tangibili con:
- l’applicazione di una aliquota IVA ridotta ai prodotti costituiti (interamente o in parte) da beni certificati riciclati o preparati per il riutilizzo;
- la concessione di contributi, sotto forma di credito d’imposta, alle imprese che acquistano prodotti certificati riciclati per poterli utilizzare direttamente nei propri cicli di produzione;
- l’estensione di agevolazioni fiscali alle imprese in possesso di certificazione ISO 14001, al fine di incentivare quei soggetti che investono in sistemi di qualificazione ambientale, con il risultato di sostenere l’imprenditoria più attenta agli impatti sull’ambiente.
- Ultimamente si parla molto di “semplificazione”: ritiene che il settore del riciclo necessiti di interventi di carattere normativo che vadano in questa direzione?
Non ha senso parlare di fondi europei e di piano per la realizzazione e l’ammodernamento delle opere necessarie al rilancio del Paese, senza affrontare il tema delle riforme, imprescindibile anche per il settore del riciclo e che dovrebbe costituire uno dei pilastri della strategia nazionale per l’economia circolare:
- riforma dei procedimenti amministrativi per il rilascio ed il rinnovo delle autorizzazioni agli impianti, con la drastica riduzione delle tempistiche relative, valorizzando le forme di autocertificazione (in caso di acquisizione d‘ufficio di atti già in possesso della pubblica amministrazione) e di certificazione da parte di soggetti indipendenti qualificati/accreditati, rendendo perentori ed effettivi i termini per il rilascio di pareri, assensi, nulla osta ecc. da parte delle amministrazioni, con la previsione del silenzio-assenso o di poteri sostitutivi in caso di inerzia;
- piena digitalizzazione in tempi rapidi degli adempimenti ambientali delle imprese, sia in tema di tracciabilità (registri, formulari) che di dichiarazioni dei dati ambientali ai vari soggetti pubblici o privati aventi funzioni pubbliche o pubblicistiche, prevedendo un portale unico “on line” per le dichiarazioni ambientali;
- semplificazione delle procedure per i sottoprodotti e per l’EoW (End of Waste), in quest’ultimo caso eliminando il doppio sistema di controllo a campione delle autorizzazioni “caso per caso”, presente nell’attuale formulazione dell’art. 184-ter del D.Lgs. 152/2006. Una soluzione per accelerare la definizione di criteri EoW nazionali può prevedere la definizione di specifiche Linee Guida (strumento più flessibile rispetto a un decreto) per la produzione e gestione degli EoW delle varie filiere, richiamando e integrando le norme UNI esistenti.