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La biopolitica tra Roma e Madrid

Incontro con il bioeticista Salvatore La Rosa

La biopolitica, la politica al servizio della vita umana, è questione sempre più centrale nelle scienze politiche, oltre ad essere avvertita dai cittadini come tema fondamentale della politica del Terzo Millennio.

La Spagna, attualmente, si trova al centro del dibattito internazionale della biopolitica nelle scienze politiche, dal momento che nel settembre del 2007 se n’è trattato all’interno dell’VIII Congreso Espanol de Ciencia Politica y de la Administracion (dal titolo “Politica para un mundo en cambio”), tenutosi a Valencia, e curato dalla locale università; nonché tenuto in considerazione che Madrid è stata scelta come sede del XXII Congreso Mundial de Ciencia Politica, che si terrà nel 2012.

Per meglio approfondire il tema della biopolitica, tanto più nella nostra tradizionale doppia prospettiva italiana e spagnola, abbiamo incontrato a Roma uno dei maggiori esperti in Italia della biopolitica, il professore Salvatore La Rosa; nato a Taurianova nel 1956, vanta un curriculum di studi ed accademico di straordinaria rilevanza. Inoltre, collabora con numerose testate, prevalentemente di carattere accademico, tra le quali: Información Filosófica, 21mo Secolo – Scienza e tecnologia, Greenwatch News. Relatore in numerosi convegni e conferenze anche di carattere internazionale, vanta anche numerose pubblicazioni di carattere scientifico ed accademico.

Per meglio comprendere il significato del termine biopolitica, alquanto recente, ci torna utile quanto riportato nella quarta pagina di copertina del recente volume di Salvatore La Rosa, “Biopolitica: prospettiva globale per governare la vita” (If Press, 2008): “Sempre più spesso, si parla di biopolitica. Molte volte, però, senza sapere che tale concetto trova la sua origine e il suo significato nella bioetica. E’ opportuno far chiarezza su questo aspetto fondamentale, onde evitare interpretazioni improprie ed utilizzi scorretti. Soprattutto, da parte di chi già la riduce miseramente a una nuova tendenza della politica contemporanea. La biopolitica non è una moda, il cui costume va indossato per dimostrare di essere al passo con i tempi. Al contrario, è una prospettiva pratica di fare politica sulle questioni della vita umana che mira a coinvolgere tutti. Alla luce di questa esigenza, è necessario seguire un percorso espositivo finalizzato a definire la biopolitica e a individuare importanti aspetti per la sua piena comprensione. Tra questi, in maniera particolare, vanno segnalati: la crisi etica della politica e le interconnessioni tra globalizzazione, poteri, democrazia e diritti umani. In questo modo, si avrà una visione più vasta e attualizzata della politica, così da far emergere che la politica stessa riguarda ogni persona umana: sia nel suo senso generale, sia in quello particolare della biopolitica”.

Come detto, abbiamo incontrato l’autore e, non essendo necessario chiedergli cosa sia la biopolitica, proprio grazie a quanto così ben sintetizzato nell’ultima pagina del suo eccellente volume, gli abbiamo chiesto che rapporto ci sia tra la biopolitica e la bioetica.

“Potremmo dire che la bioetica è la madre e la biopolitica la figlia. Anche se va rivendicata una sua precisa identità culturale, o meglio, bioculturale, non va trascurato il suo rapporto filiale con la bioetica. Questo perché alcune questioni interne della bioetica – che è lo studio della condotta umana nell’ambito delle scienze della vita e della cura della salute alla luce dei valori e dei principi morali – rappresentano le questioni della biopolitica. Naturalmente, la differenza consiste nel fatto che queste ultime vanno viste in una prospettiva politica, ma pur sempre relative alla vita umana nel suo complesso”. Prosegue il professor La Rosa: “La biopolitica va riconosciuta come un derivato della bioetica, ma va soprattutto conosciuta e poi applicata concretamente. La sua immediata traduzione con l’espressione politica della vita non chiarisce né cosa si debba intendere per politica della vita, né il tipo di relazione che la politica ha con la vita, né che genere di oggetto sia la vita per la politica. A tal proposito, torna utile il confronto con altri due termini chiamati in causa, uno dei quali è proprio bioetica e l’altro è biodiritto. Abbiamo già visto cos’è la bioetica, resta da spiegare l’altro concetto. Per biodiritto si intende un complesso di regole destinate a completare sotto il profilo normativo la bioetica. La differenza tra biopolitica e bioetica/biodiritto potrebbe allora risiedere in un elemento. Laddove questi ultimi si propongono una riflessione normativa e una integrazione normativa, la biopolitica mette in questione proprio la dimensione normativa”.

Biopolitica è un termine molto recente, anche se non così inedito, come ci spiega il professor La Rosa, il quale ci dimostra – durante il nostro colloquio – che non si tratta di una novità assoluta di questi ultimi anni, ma che ci si debba necessariamente riallacciare alle intuizioni di Foucault, aggiungendo che “se la storia della parola biopolitica mostra come se ne possa parlare anche prima di Foucault, la storia della sua cosiddetta problematizzazione potrebbe indicare che è solo a partire e dopo Foucault che essa diventa una questione filosofica e politica”.

Chiediamo a La Rosa, come mai la biopolitica stia assumendo una rilevanza sempre maggiore ed una valenza sempre più pragmatica, in costante avvicinamento alle reali esigenze dei cittadini. Il professore risponde così: “Esiste la necessità di una biopolitica che presti la massima attenzione al forte disagio che mina i cittadini. Le spiego di cosa soffrono i cittadini. Innanzi tutto, dell’angoscia provocata da pericoli che mettono a rischio il nostro pianeta. Poi di aggressioni continue, che subiscono i corpi e i sensi a causa dei diversi tipi di inquinamento ai quali sono esposti. Ed ancora: delle violenze inerenti un uso improprio delle biotecnologie che minacciano l’essere umano. Per di più, subiscono incessanti bombardamenti, da parte dei media, di informazioni drammatiche. In realtà, i cittadini soffrono di una perdita di fiducia nel loro ambiente naturale ed umano e, infine, della perdita di fiducia in sé stessi. Soffrono per aver perso fiducia nel futuro, per la mancanza di responsabilità nelle decisioni vitali, prese in loro nome. Ma come non rendersi conto, però, che i suicidi, le tossicodipendenze, le aggressioni alla vita fin dal suo sorgere, il ripiegarsi in un individualismo meschinamente prevaricatore sono il risultato di una mancanza di cultura della stessa vita e della sua condivisione? Gli esseri umani sono in grado di sopportare molte cose, a patto di conservare speranza e responsabilità nei confronti del loro bene più prezioso: la vita. E che cosa, invece, chiedono loro quelli che decidono davvero delle cose, compreso la loro vita? Di accettare di diventare inconsapevoli comparse, ridotti a oggetti modificabili e manipolabili. Di considerare la sopravvivenza la sola condizione umana (ancora) possibile. Queste sono delle questioni di largo interesse che hanno conquistato particolarmente le attenzioni della politica e che fanno si che la biopolitica sia questione sempre più rilevante ed attuale”.

Un ultimo cenno va inevitabilmente dedicato all’evidente crisi etica della politica. “Alle classi sociali che avevano un progetto di bene comune”, afferma il professore, “si sono sostituite le corporazioni, i cui comportamenti, lungi dall’essere sorretti da una tensione ideale, sono esclusivamente guidati dalla ricerca di interessi particolaristici, con la tendenza a occupare la società o quanto meno a ritagliarsi all’interno di essa uno spazio adeguato per affermarli. E’ facile intuire come in questo quadro la politica si trasformi in politica dello scambio, caratterizzata dalla mediazione tra interessi corporativi, con il rischio che vengano privilegiati gli interessi delle corporazioni deboli; oppure con il rischio che, non esistendo più riferimenti assoluti in termini di valori o di diritti, si consolidino forme autoritarie di gestione del potere, nelle quali a contare è soltanto il carisma di chi comanda. A rafforzare questa tendenza ha contribuito, in misura determinante, la nascita della cultura della soggettività, effetto della caduta della tensione politica degli anni ’70; una cultura che, ponendo al centro dell’attenzione i bisogni e i desideri soggettivi, ha prodotto un ripiegamento individualistico dell’uomo con la rinuncia a forme di partecipazione sociale e di militanza politica e con la tendenza a mettere in primo piano la ricerca dell’identità e dell’autorealizzazione personale. Così, ha luogo una consistente soggettivizzazione dei comportamenti e degli stili di vita, i quali più che essere dettati dal riferimento a valori irrinunciabili, sono in larga misura indotti dalla pressione sociale e dalle logiche consumistiche dominanti. Le ricadute negative sulla politica sono evidenti: all’assenza di coinvolgimento personale si accompagna, infatti, l’emergere di atteggiamenti privatistici contrassegnati dal rifiuto di qualsiasi forma di solidarietà sociale. C’è una forte necessità di un modello etico per la biopolitica ed il bisogno di rifondare il rapporto tra etica e politica. Ideologia si, ma non senza l’etica, vera nuova sfida per la politica”.

Seguiremo, nel tempo, le tappe di avvicinamento a Madrid 2012, approfondendo il lavoro dei massimi studiosi italiani e spagnoli, come Salvatore La Rosa e Carlo Casini (europarlamentare) tra i primi, Francisco J. Llera Ramos (presidente della IPSA – International Political Science Association) e Lourdes Sola (della medesima associazione), tra i secondi; e seguiremo anche il processo che, necessariamente, dovrà condurre verso una sempre maggiore sensibilità alle questioni etiche suscitate dal progresso e dalla ricerca rivolta ad ottimizzare le condizioni di vita in materia di salute, benessere socio-economico, e quant’altro promuova la vita umana in termini di qualità in ogni suo momento, dall’inizio alla fine naturale, senza eccezione alcuna per i più deboli ed indifesi.

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