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50 anni da “La Dolce Vita”

Nell’immaginario collettivo internazionale la movida spagnola ha preso il posto della celeberrima dolce vita romana degli anni del boom economico italiano. Cinquant’anni fa, Federico Fellini fotografava una realtà già esistente, quella della dolce vita menzionata nel titolo dello stesso film scritto dallo stesso Fellini insieme con Ennio Flaiano, Tullio Pinelli e Brunello Rondi, con le interpretazioni di Marcello Mastroianni ed Anita Ekberg, oltre alla partecipazione di Anouk Aimée, Yvonne Furneaux, Magali Noel, Valeria Ciangottini, Riccardo Garrone, Laura Betti. Il film si aggiudicò la Palma d’Oro alla tredicesima edizione del Festival di Cannes 1960, oltre all’Oscar per i migliori costumi (le nominations erano ben quattro) e molti altri premi in tutto il mondo.

Durante l’edizione appena conclusasi del Festival di Roma, alla presenza di Martin Scorsese, il Centro Sperimentale di Cinematografia e l’organizzazione dello stesso festival hanno celebrato il cinquantenario del film del grande maestro riminese. In occasione dell’omaggio a “La dolce vita”, del quale è stata proiettata una copia restaurata per l’occasione. Inoltre, è stata presentata una rassegna di ventiquattro pellicole sulla vita notturna della capitale, dal titolo “Lunga e dolce vita al Grande Cinema”, alla quale siamo stati invitati, e per questo dobbiamo ringraziare l’Ufficio Stampa del Centro Sperimentale di Cinematografia. Tra le pellicole della rassegna, meritano una particolare menzione: “Le infedeli” di Monicelli e Steno, che fotografa il doppio volto della borghesia; “Viale della speranza” di Dino Risi e “La donna del giorno” di Citto Maselli, che indagano sui meccanismi dello star-system; film che hanno cavalcato l’onda del successo felliniano, come “Totò, Peppino e… la dolce vita” di Corbucci, o che ne hanno colto gli effetti nel costume dell’epoca, come “Divorzio all’italiana” di Pietro Germi; oltre a film che hanno decretato il tramonto di un’epoca, come “Molto di più” di Mario Lenzi, che coglie la deriva della dolce vita nella Roma degli anni ‘70. Altri titoli testimoniano un disagio dilagante nel procedere degli anni ‘60. Tesi verso l’abisso del ‘68 (“Gli arcangeli” di Battaglia, “Io la conoscevo bene” di Pietrangeli, “Io, io, io… e gli altri” di Blasetti, “La notte pazza del conigliaccio” di Angeli, l’episodio “Toby Dammit” di Fellini), fino allo spartiacque di “Necropolis” di Brocani, che reinserisce l’avanguardia artistica romana nel panorama internazionale, percependo i riflessi di una presenza straniera nella città che si stava rapidamente eclissando (e di cui ritroviamo una tragica testimonianza in “Ingrid sulla strada” di Brunello Rondi). Preludio della fine, di cui “Roma bene” di Lizzani e “I prosseneti” di Rondi offrono un affresco sintomatico. A Brunello Rondi il Centro Sperimentale di Cinematografia ha dedicato un altro evento in sinergia con il Festival Internazionale del Film di Roma; la presentazione, presso il cinema Trevi, del volume curato da Stefania Parigi e Alberto Pezzotta, “Il lungo respiro di Brunello Rondi”.

Una breve carrellata dei film che riteniamo essere stati i più interessanti tra quelli presentati dal CSC al festival romano. “Le infedeli” (1953), di Steno e Mario Monicelli, con Gina Lollobrigida, May Britt, Anna Maria Ferrero, Marina Vlady ed Irene Papas. Un ricco medico incarica un investigatore senza scrupoli di seguire la moglie perché sospetta un adulterio. In realtà vorrebbe liberarsi della moglie per poter stare con l’amante. L’investigatore riesce ad inserirsi nell’alta società grazie a sotterfugi e ricatti. Della Casa ebbe a scrivere: “Questo film è un’operazione molto intelligente, un melodramma che unisce le tinte forti di Matarazzo all’atmosfera più fredda di Antonioni”. “Viale della speranza” (1953), di Dino Risi, con Cosetta Greco, Liliana Bonfatti, Maria Pia Casilio e Marcello Mastroianni. Il noto critico Paolo Mereghetti scrive: “Alcune ragazze tentano di sfondare nel mondo dello spettacolo: solo una vi riuscirà, affidandosi al proprio vero talento. Commedia di costume dal sapore agrodolce, realizzata in modo più che dignitoso. Il viale in questione è quello che porta a Cinecittà”. “La donna del giorno” (1956) di Francesco Maselli, con Virna Lisi, Antonio Cifariello, Franco Fabrizi e Serge Reggiani. Liliana è un’indossatrice che cerca di farsi strada in ogni modo. Una notte viene trovata svenuta sulla strada. Interrogata dalla polizia, Liliana racconta di essere stata trascinata da tre delinquenti in una villa e di aver subito violenza. Il drammatico evento viene divulgato dai giornali e Liliana diventa ben presto “la donna del giorno”, ricevendo vantaggiose offerte di lavoro. Il film, per molti, potrebbe essere stato ispirato in qualche modo dal “caso Montesi”, avvenuto nel 1953; così come diversi critici ritengono che perfino “La dolce vita” possa, relativamente ad alcune parti del film, essere stato ispirato anche dall’omicidio di Wilma Montesi. Ad esempio, sul “The Observer” il critico Philip French scrive che questo caso di cronaca nera avrebbe in parte ispirato il film di Fellini. Il corpo di Wilma Montesi fu ritrovato su una spiaggia di Roma nel 1953 e nei due anni successivi vennero fuori insabbiamenti politici, cospirazioni criminali e un mondo di droga ed orge che coinvolgeva celebrità, criminali e politici. La creatura marina ritrovata sulla spiaggia nelle sequenze finali de “La dolce vita” sembra evocare proprio l’omicidio della Montesi. Anche secondo la storica statunitense Karen Pinkus la creatura arenata rappresenta in modo simbolico Wilma Montesi. Secondo la Pinkus, l’intero film conterrebbe riferimenti al caso; anche la figura dei paparazzi sarebbe ispirata da quella dei cronisti che si occuparono dell’omicidio.

Proseguendo la carrellata dei film proposti in occasione della rassegna romana, troviamo “Il principe fusto” (1960), di Maurizio Arena, con lo stesso Arena insieme con Lorella De Luca, Noël Traverthon e Memmo Carotenuto. Un giovane popolano di Trastevere si finge principe per corteggiare una turista americana, facendo così soffrire la giovane e innamorata fidanzata. La critica ritiene il film un risvolto godereccio e stravaccato de ‘La dolce vita’, uscita pochi mesi prima. “Un amore a Roma” (1960), di Dino Risi, con Mylène Demongeot, Peter Baldwin, Elsa Martinelli, Claudio Gora e Jacques Sernas. Marcello, un giovane con ambizioni letterarie di nobile ma decaduta famiglia romana, si invaghisce di Anna, attricetta incontrata per caso, e ne fa la sua amante. La ragazza, pur amandolo, ha un comportamento molto libero e non disdegna di incontrare altri uomini. Marcello vive un perenne stato di gelosia che gli rende insopportabile la relazione. “Via Margutta” (1960), di Mario Camerini, con Antonella Lualdi, Gérard Blain, Franco Fabrizi, Yvonne Furneaux e Claudio Gora. A Roma, esattamente in Via Margutta, s’intrecciano le vicende di un gruppo di giovani artisti. Tra aspirazioni, successi, frustrazioni, tradimenti e amori, Camerini costruisce un amaro ritratto della bohéme romana negli anni della dolce vita. “Totò, Peppino e… la dolce vita” (1961), di Sergio Corbucci, con Totò, Peppino De Filippo, Taina Beryl, Francesco Mulè e Gloria Paul. Divertente parodia de ‘La dolce vita’, che ebbe problemi produttivi e con la censura (per le ironie sui proci e per qualche riferimento politico). Il regista sarebbe dovuto essere Camillo Mastrocinque che, però, entrò in forte contrasto con la produzione. Gli subentrò Sergio Corbucci, che venne convocato da Totò in casa propria. Totò disse al regista: “Allora, domani cominciamo a girare”. Corbucci gli rispose: “Si, ma cosa? Non c’è niente, nemmeno la sceneggiatura!”. E Totò rispose: “Vuoi pure la sceneggiatura? Non ti preoccupare, facciamo tutto io e Peppino”. E così Corbucci ricordava sempre che iniziarono a girare senza nulla in mano, se non due fuoriclasse che sapevano improvvisare come pochi altri al mondo.

Una curiosità, in conclusione. Stiamo celebrando i cinquant’anni de ‘La dolce vita’, film culto, premiatissimo in ogni angolo del mondo. Eppure, questo film ha rischiato seriamente di essere girato. Vi racconto, in proposito, un mio ricordo personale. Nel 1996 andai dal grande sceneggiatore Leo Benvenuti, che era stato il mio docente dei corsi professionali di sceneggiatura cinematografica, per sottoporgli una mia sceneggiatura. La prese e mi disse che mi avrebbe telefonato non appena avesse finito di leggerla. Dopo una decina di giorni mi chiamò e mi dette un appuntamento per parlare della mia sceneggiatura. Quando andai, mi disse dettagliatamente quel che -bontà sua- pensava di buono del mio script, ma mi disse anche: “Non credere che perché sia una buona sceneggiatura questa diventerà un film. Pensa che perfino ‘La dolce vita’ rischiò seriamente di non diventare un film. Io, con Piero De Bernardi, ero in sala d’attesa dal produttore Peppino Amato quando Fellini uscì dall’ufficio di Amato, al quale aveva appena consegnato il copione de ‘La dolce vita’. Fellini andò via. Amato si affacciò in sala d’attesa con il copione in mano e, scuotendo la testa, borbottò ‘Ma questo che razza di film sarebbe?’. Peraltro, il film fu già rifiutato da Dino De Laurentiis, ed alla fine fu prodotto da una cordata italo-francese, che vedeva Angelo Rizzoli maggiormente impegnato”.

Così, grazie ad una curiosità pressoché inedita, tutta per “Era 2000”, oggi sappiamo che un film del quale si festeggia il cinquantenario, che ha vinto David di Donatello, Nastro d’Argento, un Oscar, la Palma d’Oro a Cannes, il Bafta, etc., ha seriamente rischiato di non vedere mai la luce!

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