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Attimi e frammenti di vita – Il viaggio di un pellegrino

“Sotto le stelle, su questa terra, dò inizio al viaggio. Io ancor pellegrino.” Con queste parole si presenta il poeta sul suo profilo FB, Giovanni Ciao.

GIOVANNI CIAO“Sotto le stelle, su questa terra, dò inizio al viaggio. Io ancor pellegrino.” Con queste parole si presenta il poeta sul suo profilo FB, Giovanni Ciao, Dirigente Medico I livello presso l’ASL 1 della Regione Umbria. Un pensiero che contribuisce a rendere l’idea di quanto la sua raccolta di poesie “Attimi di vita” inizi a tracciare un percorso in quel mondo che tutti noi siamo usi frequentare ma di cui spesso ci sfugge (o ci lasciamo sfuggire) la portata di quanto esso ci possa dare ed insegnare; basta volerlo fare, basta volersi mettere in gioco senza arroccarsi dietro falsi pudori o irrisori alibi.

Attimi vissuti come frammenti, raccontati vivendo; un racconto che riusciamo a sentire e vedere. Percepiamo – se osserviamo bene le sue parole – ogni istante di una vita vissuta con consapevole pienezza, ma non per questo appagata o appagante. Anzi, la ricerca ch’egli si prefigge in tutta umiltà,è un invito ad indagare il proprio vissuto, a farlo proprio, portandolo alla luce; egli prende per mano il lettore e lo conduce nel suo intimo fino a condividerlo.

Un attimo…un frammento…Che cos’è un frammento se non una parte di un qualcosa che si è rotto, parte di un’opera che ci è pervenuta mutila e ancora, il singolo brano di un’opera concepita frammentariamente?

Nel caso di Giovanni Ciao e della silloge, niente di tutto questo, niente di così…frammentario.

La sua raccolta di poesie è un raccontare pezzi di vita vissuta; più precisamente un viaggio nella memoria del suo tempo – che confluisce nel nostro – offrendo a noi lettori, le chiavi per renderci partecipi di un mondo, sospeso nello spazio cui non pone orizzonti se, è vero, ch’egli ci conduce fino al cospetto del Supremo, di quel Dio che è insieme vita e natura.

Gli attimi/frammenti di Ciao sono tessere di un puzzle ch’egli va componendo e disfacendo e ricomponendo non alla ricerca di domande, che pure nei suoi componimenti egli si/ci pone, né tanto meno di risposte…Ma questa apparente incompiutezza nel porre i quesiti, per altro retorici, non ci lascia smarriti, bensì ci sollecita alla vita, offrendoci quel barlume di speranza che deve andare oltre la semplice esistenza.

Viaggiare nella poesia del poeta è un viaggio che ci conduce, stilisticamente, verso lidi che non pensavamo di frequentare più da tempo: alla contemporaneità della parola spesso fredda, tagliente, immediata, pungente oppone un poetare d’altri tempi; leggerlo desta in noi – almeno in me –  rimembranze dal sapore  leopardiano; uno stile di scrittura – oggi andato smarrito – che rievoca nei finali di parola tronchi,nelle interiezioni ed esclamazioni, il verseggiare della poesia più classica.

Ma non per questo antica, polverosa; ricercatore della parola pura e lieve, egli porta in punta di penna chi lo legge a cogliere quegli aspetti della vita di tutti i giorni i  quali spesso, nella frenesia del vivere, ci sfuggono; un andirivieni nelle stagioni, anche quelle dell’esistenza nostra ch’egli celebra e ci fa (ri)assaporare nella pienezza del loro semplice manifestarsi; così è per gli scorci notturni ( Sera/ di tarda primavera/Su, la notturna falce già impallidisce…), i fenomeni naturali (Ed or v’è solo nebbia/languida e silente amica), gli affetti più cari: i figli (Guardami/chè nel tuo filial guardo/ giorni ravvedo perduti), la madre (Ancor di te/ ho vivo il ricordo) financo volgendosi e richiamandoci a Dio (Volgi lo sguardo tuo/verso quel figlio/che come il Tuo/la Croce di per sé volle), anche per ringraziarlo ( Di ciò che ho avuto/e di tutto quello che mi hai evitato).

E mentre il mosaico delle riflessioni si va completando, ecco che Giovanni Ciao, sul finire – quasi fosse il tassello mancante – si propone in prima persona, non solo levando un inno alla vita, ma narrando di sé e delle sue origini meridionali (Mezzosangue io son/ mezzo Cilento/ e mezzo della Ragusa antica) dando luogo a metamorfiche immagini pregne di odori, venti e profumi del Mediterraneo.

Un percorso esperienziale che trova la giusta sintesi sia nella citazione di Marquez con la metafora della montagna sia nell’ultimo componimento “il giorno che insegue il giorno”, che non vuole essere congedo ma consapevolezza del senso della vita, di quel cerchio cui tutti siamo, indistintamente, chiamati a chiudere, evocando sì quell’arco tramandatoci da Gibran, ma anche a “non spaventarci/ di questo silenzioso correre del tempo” che inesorabile c’imbriglia…forse non tutto è stato scritto dal poeta, alcune pagine sono rimaste volutamente bianche o sono maliziosamente sfuggite alla sua attenzione; Certo è che la sua testimonianza rivela luci ed ombre proprie di ciascuno, pallide albe e fulgidi tramonti…momenti comunque che vale la pena di vivere e d’aver vissuto, d’aver colto ed, elaborandoli, saperli tramandare senza cadere nell’inganno della memoria.

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