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“I figli del fiume giallo”

Mercoledì 24 aprile, nella sala privata dell'ANICA, a Roma, è stato presentato alla stampa il film "I figli del fiume giallo", che uscirà nei cinema italiani il 9 maggio.

I figli del fiume giallo-locandinaROMA – “I figli del fiume giallo” è l’ultimo film di Jia Zhangke, 48enne regista pluripremiato a Cannes, interpretato da Zhao Tao e Liao Fan, in qualità di protagonisti, e al loro fianco Xu Zheng, Casper Liang, Feng Xiaogang, Zhang Yibai, Ding Jiali. Il regista, come sempre, ha scritto da solo la sceneggiatura del film, prodotto da Shozo Ichiyama (oltre ad una schiera di co-produttori di minoranza), con musiche originali di Lim Giong, l’apprezzata fotografia dell’eccellente Eric Gautier, il montaggio a quattro mani di Mathieu Laclau e Lin Xudong.
Presentato in concorso al Festival di Cannes 2018, e passato successivamente al Torino Film Festival, il film (il cui titolo originale è “Ash is Purest White”) da quasi un anno sta già seguendo il percorso di successo avuto da Zhangke con “Al di là delle montagne”, in concorso a Cannes 2015, “Il tocco del peccato”, premio per la ‘Migliore Sceneggiatura’ a Cannes 2013,  e del ‘Leone d’Oro’ a Venezia 2006 “Still Life”. Ed ora approda nelle sale italiane.
Il film racconta la storia di Qiao (interpretata da Zaho Tao), una ballerina innamorata di un gangster, Bin (Liao Fan), che – trovandosi coinvolta in un combattimento tra bande locali – per difenderlo spara un colpo di pistola. Per questo finirà cinque anni in carcere. Dopo il suo rilascio, Qiao cercherà Bin per riprendere la sua vita con lui ma non tutto è rimasto come prima.
L’Ufficio Stampa italiano del film ci ha consegnato una dichiarazione del regista, dalla quale abbiamo scelto ed estrapolato questo passaggio chiave: «Il film si apre in Cina all’inizio del 2001 e si chiude nel 2018. Ho sempre amato le storie che si sviluppano su un ampio arco temporale: il tempo detiene i segreti della vita, le storie e le esperienze. (…) Oggi ho 49 anni di esperienza di vita e desidero utilizzarli per raccontare una storia d’amore ambientata nella Cina contemporanea che ha attraversato trasformazioni epiche e drammatiche. Mi fa sentire di aver vissuto tutto questo io stesso e di continuare a viverlo».
A quasi un anno di distanza dalla presentazione in concorso a Cannes, il film è già uscito in varie nazioni, riportando lusinghiere critiche ed un discreto riscontro al box-office per un film piuttosto di nicchia, ‘cinema d’autore’ come si suol dire. Per il “The Guardian” il film è una complessa tragedia romantica, mentre “Variety” punta tutto sulla performance di Zhao Tao, scrivendo che è stata capace di superare se stessa in un ruolo di ipnotizzante complessità. E ci piace ripartire, a questo punto, proprio da Zhao Tao, prima con alcune dichiarazioni del regista, poi con alcuni nostri ricordi italiani della 42enne affascinante attrice cinese, che poi da sette anni è la moglie del regista, ma questo non è stato ricordato dal regista, forse per pudore personale.
Cominciamo con le parole del regista e marito: «Nella fase di montaggio dei miei precedenti film “Unknown Pleasures” (2002) e “Still Life” (2006), la cui protagonista è Zhao Tao, ho deciso di semplificare la trama eliminando alcune delle sue scene d’amore. Ma quando ho riguardato quelle scene tagliate, i due personaggi da lei interpretati si sono in qualche modo fusi nella mia mente. (…) Ho immaginato una donna nata e cresciuta nella mia città natale, in una regione mineraria nel nordovest della Cina. Il suo nome è Qiaoqiao (‘Qiao’ come diminutivo) e si innamora di un tizio appartenente al jianghu. Il loro tormentato amore sarebbe stato l’inizio della storia. Nel 2006, raggiungono l’età matura e l’uomo parte per la regione delle Tre Gole. Lei lo segue, ma il loro rapporto si è incrinato. Tutto quello che sarebbe successo di lì in avanti mi avrebbe permesso di scatenare la mia fantasia. (…) Quando rivedo il personaggio interpretato da Zhao Tao in “Unknown Pleasures”, vedo purezza, semplicità e amore incondizionato. Tuttavia, quando rivedo la donna che ha impersonato in “Still Life”, osservo complessità, tristezza e una maschera che cela i veri sentimenti. Il tempo ha cambiato il suo aspetto, ma il cinema registra il modo in cui gli anni l’hanno forgiata. Quelle scene tagliate mi hanno spinto a immaginare cosa ne sarebbe di quella donna – e dell’uomo che aveva amato – ai giorni nostri. (…) Mi sono buttato nella scrittura della sceneggiatura come se si trattasse di un personale viaggio emotivo: la mia gioventù perduta e i miei sogni per il futuro. Vivere, amare ed essere libero». Ed è quello che il regista riserverà alla sua musa, e da sette anni anche moglie. Sarebbe complesso spiegare le differenze sociali e strutturali della Cina, non di poco conto seppure in un arco temporale non vastissimo, dal 2001 al 2018, cosa sia lo jianghu (ma ne faremo cenno in chiusura) e parlare di una provincia poco nota come lo Shanxi. D’altronde, toglieremmo anche molti dei motivi per i quali uno spettatore amante del cinema più colto, complesso, non certo da botteghino, piuttosto da riconoscimenti della critica, e – in ultimo (ma dovremmo dire last, but not least) – amante del cinema e del mondo asiatico, dovrebbe recarsi al cinema dal prossimo 9 maggio.
E veniamo ai nostri ricordi relativi all’attrice protagonista del film, Zhao Tao, probabilmente già dimenticata dal pubblico italiano (o, addirittura, mai conosciuta). L’affascinante e rigorosa attrice cinese, diplomatasi nel dipartimento di danza folcloristica cinese dell’Accademia di Danza di Pechino, e successivamente attrice proprio per Jia Xhangke a partire dal 2000, non soltanto ha ricevuto premi e nominations durante quasi un ventennio di carriera, ma proprio in Italia si è aggiudicata il David di Donatello per la ‘Migliore Attrice Protagonista’ (uno dei rari casi di questo premio andato ad un’attrice straniera per aver recitato in un film italiano) per l’eccellente “Io sono Lì”, del regista Andrea Segre, in cui Zhao Tao interpreta l’immigrata cinese Shun Lì, che lavora a Roma in una fabbrica tessile in stato di semi-schiavitù, per pagare il debito del suo viaggio della speranza in Italia, e per farsi raggiungere dal figlio, rimasto in Cina. Poi, verrà trasferita a Chioggia, cameriera in un’osteria prevalentemente frequentata da pescatori. Nasce una storia d’amicizia, di immigrazione e di sollievo della disperazione con un vecchio immigrato dell’ex Jugoslavia, in Italia ormai da trent’anni, chiamato ‘il Poeta’, per la sua facilità a comporre versi al momento. Ci sembrava giusto e bello aprire questa parentesi per ricordare un gran bel film italiano passato inosservato dal pubblico e dalle televisioni, ma non dalla critica, con un inatteso, clamoroso e meritatissimo David all’attrice cinese.
Prima di chiudere, merita un cenno l’attore protagonista del film in uscita in Italia tra due settimane, Liao Fan, nei panni di Bin. Liao Fan è un attore cinematografico e teatrale cinese. Si è diplomato all’Accademia Teatrale di Shanghai. Nel febbraio 2014 ha ottenuto il prestigioso ‘Orso d’argento’ per il ‘Miglior Attore’ al 64° Festival di Berlino,  per la sua interpretazione del film “Fuochi d’artificio in pieno giorno”, diretto da Diao Yinan.
In conclusione, “I figli del fiume giallo” raccoglie una sorta di eredità e di cose non dette, come d’altronde affermato dallo stesso regista, dei due film citati nella fase iniziale di questo articolo. Inoltre, dal 2001 al 2018 sono cambiati notevolmente ed irreversibilmente la Cina, l’eterna musa del regista, lo stesso cinema cinese. Precedentemente, avevamo rinviato al finale dell’articolo la spiegazione del termine jianghu. Si tratta di un termine preso in prestito dalle arti marziali, ma successivamente utilizzato in questioni ben meno nobili, come il sottobosco criminali della cosiddetta ‘mafia cinese’, più esattamente delle ‘triadi cinesi’. Storie di codice d’onore, di senso di fratellanza, di dominio, di possesso. Tutto il resto, e la miglior spiegazione di tutto quanto qui riportato, il pubblico lo troverà sul grande schermo dal 9 maggio, per la distribuzione da parte della società ‘Cinema’, di Valerio De Paolis.

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